Bologna, 24 febbraio 2014 - Hai comprato troppe cassette di arance che rischiano di fare la muffa? Devi partire all’improvviso ma la mamma ti ha appena riempito il frigorifero di ogni ben di Dio? Niente panico, arriva il frigo di strada. Cos’è? Una dispensa comunitaria ma a pochi minuti da casa, riempita giorno per giorno con gli alimenti di tutti. Tu porti qualcosa e prendi qualcos’altro. Ogni prodotto ha un’etichetta, con origine e scadenza. Non butti via, baratti. Si chiama ‘S-cambia cibo’, progetto urbano di food sharing che guarda all’Expo 2015 e vorrebbe migliorare anche i rapporti di buon vicinato. In Germania funziona, in Italia è ancora una scommessa. Abituati (?) a condividere l’auto, si vorrebbe fare altrettanto con la spesa. Ci stanno lavorando a Bologna, nel cuore della città universitaria, sette trentenni.

Sono ingegneri, comunicatori, web designer. Si sono incrociati a Kilowatt, spazio creativo indipendente, modello di coworking che mette insieme tanti professionisti diversi. Hanno appena presentato la loro idea all’Hub di Firenze. Sono stati scelti tra i finalisti di un concorso che punta proprio a questo, la lotta allo spreco. E, nella città di Andrea Segré e del suo ‘Last minute market’, questi creativi si sono messi in testa di far risparmiare alle famiglie quei 350 euro di spesa che — svelano le statistiche — ogni anno finiscono nel cestino. Detto a margine: siete stremati dall’infilata di parole straniere? Comprensibile. Ma le novità in rete viaggiano così.

Ilaria Venturelli, ingegnere di Petricorstudio, quando ha avuto l’idea si stava preparando a un concorso di architettura. Studiando, è arrivata al food sharing tedesco. «Ci è piaciuto, ci siamo detti: proviamo. Ne abbiamo parlato con gli altri. Il coworking ha questo di bello, hai subito qualcuno lì a fianco a cui rompere le scatole». Nel caso, le ragazze di Social-lab, società di comunicazione e web, tre stipendi nati dal laboratorio universitario Tagbolab (marketing territoriale 2.0, responsabile scientifica la professoressa Pina Lalli). S-cambia cibo vuol rispondere in modo nuovo alla domanda classica, accetteresti pane e pasta da uno sconosciuto? No, chiaro. Infatti il baratto avviene nei confini del ‘tuo’ gruppo di fiducia. Con una mentalità nuova, condividere è meglio che possedere. Una parola. «La diffidenza si supera nelle comunità — non demorde Letizia Melchiorre, tra le fondatrici di Social-lab —. Altro punto da approfondire, l’adeguamento alle norme igieniche, molto severe».

Per questo serviranno gli esperti dell’incubatoio fiorentino. S-cambia cibo ha una particolarà, rispetto alle altre esperienze di food sharing. Chiarisce Letizia: «Avevamo due strade: pensare al servizio in modo autonomo; oppure studiarlo con chi è interessato. Abbiamo scelto la seconda. È più lunga e complicata ma pensiamo ne valga la pena. La nostra base saranno hub, bar, social street». Partendo da via Fondazza. Sì, la strada di Giorgio Morandi, ormai contagiata dal degrado del centro, un giorno si è svegliata e ha deciso di reagire. È nato un gruppo Facebook poi è partita tutta un’altra storia. Si dice social street — fenomeno ormai nazionale — ma si legge rapporti di buon vicinato. Dall’online all’offline, dal virtuale alla soglia (anzi al frigo) di casa.

Rita Bartolomei