8 marzo Bologna, si rivolge a un centro antiviolenza e denuncia l’ex: “Ho scoperto che non sono sola”

La storia di una donna che ha deciso di chiedere aiuto, tra ansie e paure. “Mi hanno mostrato le possibilità che avevo, tra cui chiedere il reddito di libertà”

Sono poche in Italia le donne vittime di violenza che decidono di parlare (foto di repertorio)

Sono poche in Italia le donne vittime di violenza che decidono di parlare (foto di repertorio)

Bologna, 8 marzo 2023 – “Un anno fa mi sono rivolta al centro antiviolenza, ero in uno stato di grande disperazione. Ad agosto scorso ho deciso di sporgere denuncia nei confronti del mio ex compagno. Ora è indagato per atti persecutori e stalking. Il centro antiviolenza è stato la mia ancora, ma da lì in poi mi sono sentita supportata da una rete. Nonostante la sofferenza, ho scoperto che non sono sola, che una strada diversa è possibile”. A dirlo è Irene (nome di fantasia) che si è rivolta al centro antiviolenza CHIAMA chiAMA di MondoDonna Onlus, associazione bolognese che dal 2013 supporta le donne vittime di violenza in tutto il territorio metropolitano. “Ho chiamato un anno fa, tra gennaio e febbraio 2022. Era la prima volta che mi rivolgevo a un centro antiviolenza. La prima telefonata è partita dopo una grande litigata con il mio ex. Ero persa e presa da disperazione e sconforto. Ho preso il cellulare e ho chiamato”.

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Chiedere aiuto è un grande passo per cambiare le cose, ma non è semplice, né scontato. Né è da colpevolizzare chi non lo fa: le motivazioni possono essere diverse, per esempio capire e riconoscere quello che sta effettivamente succedendo. In Italia la percentuale di donne che non parlano della violenza subita è alta. Secondo i dati Istat, il 22,9% non racconta l’esperienza violenta, la percentuale si abbassa al 12% se guardiamo alle mancate denunce. Alcune donne hanno dichiarato di non aver denunciato perché hanno imparato a gestire la situazione da sole, perché quanto subìto non era poi così grave, ma anche per paura o perché amavano il partner e non volevano che fosse arrestato.

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“Frequentare il centro antiviolenza – continua Irene – mi ha dato la possibilità di sentirmi accolta e al sicuro. Ho fatto fatica, ma è un’esperienza catartica e liberatoria. Il fatto di avere chiesto aiuto ha reso possibile un’altra strada. La violenza inibisce la propria capacità di giudicare la realtà, di ragionare logicamente e di giudicare te stessa. Al Cav mi hanno dato tutti gli strumenti per andare avanti, mi hanno mostrato le possibilità che avevo, tra cui chiedere il reddito di libertà che per me era importante per permettermi una terapia psicologica. Purtroppo, questo, non è andato a buon fine”. Irene continuerà a frequentare il centro antiviolenza e si sta preparando al processo, a rendere la sua storia da privata a pubblica. “Chi agisce violenza – conclude – non deve essere visto come un mostro e vorrei contribuire a far passare il meno possibile questo messaggio. Non ci sono mostri, c’è la complessità dell’essere questo uomo o questa donna. Il resto rischia di banalizzare, patologizzare o spettacolarizzare qualcosa di molto molto delicato e complesso”.

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