Bologna, 8 marzo 2025 – Due ruoli distinti, un obiettivo comune: “Mettere le nostre competenze al servizio dei cittadini”. Due capitani dei carabinieri, la comandante della compagnia di Borgo Panigale Giorgia De Acutis, 34 anni, e la comandante del Nucleo di Psicologia della Legione Emilia-Romagna, Lavinia Filonzi, 30 anni, nel giorno della Giornata internazionale della donna, si raccontano e raccontano il loro lavoro, puntando l’attenzione, oggi, sulle violenze di genere e la tutela delle fasce deboli.

Il capitano De Acutis
“Volevo aiutare il prossimo. Per questo sono entrata nell’Arma”. Una formazione classica, la passione per lo sport, il capitano Giorgia De Acutis si è arruolata nel 2010. “Nel mio corso – dice – eravamo 9 donne su 50 militari totali. Credo che a tutt’oggi sia il corso con la presenza femminile più alta”. E malgrado l’Arma sia un corpo “tradizionalmente maschile – spiega ancora il capitano – io sono cresciuta con il concetto di poter fare qualsiasi professione volessi, senza distinzioni legate al genere. E qui ho trovato sempre un grande rispetto, un ambiente positivo. A Caltagirone comandavo la compagnia: su 104 militari c’erano solo due donne. Malgrado questo, ho sempre lavorato benissimo. Anche perché il preconcetto si supera con la capacità: magari qualche collega più anziano, a un primo impatto, può aver avuto qualche dubbio, ma nel momento in cui lavorando spalla a spalla dimostri la stessa professionalità ogni pregiudizio cade”.
A Bologna da meno di un anno, oggi Giorgia De Acutis comanda la compagnia di Borgo Panigale. "Bologna vive le dinamiche criminali di una grande città: tanti fatti di microcriminalità, che creano allarme sociale. Anche i codici rossi sono numerosi, un trend che rispecchia la realtà nazionale: la presenza di molti cittadini stranieri, poi, incide anche in qualche modo, perché le dinamiche famigliari rispecchiano contesti culturali diversi”, spiega ancora la carabiniera. Ma la violenza, dice ancora, «prescinde da ceto ed età. Ed è importante per noi vedere come ora anche le donne più anziane si convincono a chiedere aiuto e sporgere denuncia, perché la sensibilizzazione è fondamentale”. E se l’input non arriva dalla vittima, “anche chi le sta intorno può fare molto: anche i vicini, se si accorgono di dinamiche malate, di litigi, possono segnalarli. Questo ci permette di intervenire, cristallizzare situazioni, magari chiedere procedure di ammonimento al questore. Insomma: di prevenire la violenza o bloccarla”.
Il capitano Lavinia Filonzi
“Dopo la laurea in Psicologia e la specializzazione, ho deciso di arruolarmi: sentivo la necessità di mettere la mia professionalità al servizio della collettività”. Trent’anni, nell’Arma dal 2019, il capitano Filonzi ricopre un ruolo che richiede empatia e grande capacità d’ascolto. E che si muove su un doppio binario: da un lato “l'aiuto ai colleghi, a cui tengo anche corsi per approcciarsi nella maniera più delicata ed efficace possibile con le vittime; dall’altro mi occupo delle audizioni protette, sia di donne che di minori”. Un lavoro che richiede una predisposizione all’apertura all’altro, “con la consapevolezza di dover tenere sempre alta la guardia, di dare sempre il massimo”. Anche il capitano Filonzi ha sempre trovato un ambiente positivo nell’Arma. E alla domanda se una donna debba fare il doppio di un uomo per raggiungere lo stesso obiettivo, risponde: “Io sento di dover fare sempre tanto. Un po’ per il mio ruolo, un po’ perché sono la sola, in Emilia-Romagna, a ricoprirlo”.
Un ruolo di grande responsabilità: "Ho di fronte persone con un vissuto di sofferenza, che devono rivivere memorie traumatiche. Devono essere aiutate ad aprirsi, l’obiettivo che mi pongo è restituire loro la fiducia: devono sapere che sono accompagnate, anche quando escono dalla caserma». Gli incontri, poi, avvengono nelle ‘stanze rosa’: “Locali arredati in maniera confortevole, anche con giocattoli, proprio per mettere a proprio agio chi viene sentito – dice ancora il capitano –. Ogni silenzio, ogni termine, ogni pausa è importante e ha un significato. Bisogna imparare a leggerli e adattarsi ai tempi della persona che si ha davanti, perché tutti siamo diversi, tutti elaboriamo il nostro vissuto in maniera diversa». Con le donne straniere, originarie di paesi dove la tradizione patriarcale è schiacciante, è spesso complesso «arrivare a instaurare un dialogo. Tuttavia, per molte di queste donne l’audizione protetta è il primo momento di emancipazione: escono dai ranghi che sono sempre stati imposti loro, devono essere chiare le garanzie che saranno protette anche dopo. Anche per i minorenni è complesso: da un lato, a scuola, tra pari, vivono un contesto di autodeterminazione, dall’altro c’è l’ambiente domestico, dove le dinamiche sono altre”.