"Al Pilastro lo spaccio è un affare di famiglia"

Viaggio nel quartiere, dove i residenti diventano ‘investigatori’ e stilano dossier, con tanto di foto, per segnalare le case dei pusher

Nicoletta

Tempera

La signora si ferma sul marciapiede, alza il braccio e indica: "Vede là? Oltre il giardino, quel palazzo? Al piano terra ci abitano degli spacciatori. Lo abbiamo segnalato eh". In via Grazia Deledda è una mattina come tante. La vita, al Pilastro, scorre solita. Mamme con i bambini nel passeggino, ragazze che portano a spasso il cane, anziani che fanno la spesa. I palazzoni dell’Acer si affacciano sul giardino dove un cippo ricorda i tre giovani carabinieri uccisi dalla Uno bianca. Dietro quelle finestre si intuisce il brusio della vita, di un quartiere sfaccettato, multietnico, che fatica per scrollarsi di dosso l’appellativo di ‘ghetto’. Ma sono tanti i cittadini che vorrebbero una nuova pagina per il Pilastro. "Ma per scriverla – dice Gigliola – è necessario che qualcuno ci ascolti, quando segnaliamo le cose che non vanno". Gigliola, assieme ad altri residenti, ha stilato una sorta di mini dossier. Ci sono nomi, cognomi, indirizzi e la specifica delle attività illecite che, ogni giorno, vedono compiersi nei loro cortili. "Sono almeno dieci famiglie. Abbiamo provato a portare in Quartiere questo elenco, ci hanno detto che non lo dobbiamo dare a loro, ma alla polizia o ai carabinieri. Insomma, di fare da soli", spiega.

Qualcuno ha fatto di più. Il signor Luigi (il nome è di fantasia), ormai dal 2016, "da quando ho visto uno spacciatore fermo davanti al bar di via Natali contare una mazzetta da 100 euro sotto al mio naso", ha deciso di documentare, anche con foto, le attività illecite che vede. "Ho fatto tante denunce, soprattutto al commissariato Bolognina-Pontevecchio. Grazie alle mie segnalazioni ho fatto arrestare diversi spacciatori, a far chiudere un bar mal frequentato e a far cacciare da un alloggio Acer un delinquente. Ma ce n’è da fare, ancora. Io continuo a fare esposti, perché spero che a qualcosa servano. Quando l’altro giorno mi hanno detto dell’arresto della coppia di via Grazia Deledda, sono stato contento. Vuol dire che qualcosa si muove".

Il signor Luigi ha pagato sulla sua pelle il senso di appartenenza al quartiere. Un sentimento che lo spinge a darsi da fare, anche aiutando chi vede in difficoltà. "L’anno scorso sono intervenuto per soccorrere una ragazza che abita nel mio stabile, che veniva picchiata dal compagno nordafricano. Mi sono preso una coltellata", dice. In via Deledda, si ferma anche Aldo: "Vivo da 20 anni al Pilastro – racconta –. Quando questo era considerato un ‘confino’, si potevano lasciare i soldi in macchina, nessuno te li rubava. Oggi non è così. Già ben prima del coprifuoco per noi era vietato uscire dopo le 22".

Le situazioni più critiche, a detta dei residenti, sono in via Salgari, al Virgolone, in via Grazia Deledda, in via Svevo, via Frati, via Pirandello. In strada Aldo si ferma a parlare con Annarita Biagini - diventata famosa, suo malgrado, per la ormai nota ‘citofonata’ del leader del Carroccio Matteo Salvini - e il deputato di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, arrivato per incontrarla. L’argomento del giorno è ancora l’arresto dei coniugi Labidi. "Sono solo una delle tante famiglie che spacciano qui", chiosa la donna. Perché lo spaccio, al Pilastro, è una questione domestica: "Si spaccia dentro casa, mica per strada", prosegue Luigi. "Quelli che vendono per strada – dice ancora – al Pilastro vengono solo a rifornirsi: quando c’era l’hub in via Mattei, qua era un continuo via vai di ragazzi centrafricani. Venivano, prendevano la merce e poi andavano a venderla in centro. E se li arrestavano amen: il giorno dopo arrivavano facce nuove al loro posto".

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