"Al Rizzoli sono tornato a camminare"

Nazzareno Barbuto, 47 anni, ha subìto in giro per il mondo trenta interventi alla gamba, prima dell’operazione risolutiva allo Ior

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di Monica Raschi

"Ho fatto trenta interventi, volevo salvare a tutti i costi la mia gamba. Ma l’arto era troppo compromesso. Così ho dovuto accettare l’idea dell’amputazione e adesso con la protesi ho ripreso a camminare". Nazzareno Barbuto, 47 anni, titolare di un’azienda agricola, si era ferito in modo molto grave alla gamba sinistra "il 31 agosto 2013, alle 14,42": ricorda ogni attimo di quei terribili momenti che averebbero dato il via a una vera e propria odissea nella ricerca di una soluzione, durata undici anni, fino all’approdo all’Istituto Rizzoli, nella Clinica 1 diretta dal professor Cesare Faldini.

"Non ci potevo proprio pensare a perdere la mia gamba – racconta – e sono stato in mezzo mondo per cercare una soluzione: dagli Stati Uniti a Lione fino alla Russia. Dall’intervento fatto in quest’ultimo Paese sembrava che le cose andassero meglio, poi ho spezzato una vite del fissatore e si è scatenata l’infezione che poi mi ha portato alla decisione finale, perché l’infezione metteva a rischio la mia vita". Una decisione difficilissima, confessa l’imprenditore, tanto che anche all’Istituto ortopedico Rizzoli hanno tentato due operazioni per vedere se era possibile salvare la parte inferiore della gamba.

"Io non ero pronto per una scelta così drastica, anche se il professor Faldini mi aveva detto subito che l’arto era molto compromesso – afferma Barbuto – ma abbiamo provato ugualmente. Come era nelle previsioni non ci sono stati i risultati che io speravo e allora ho chiamato il professore e gli ho detto di fissare l’operazione per l’amputazione, avvenuta alla fine di novembre dello scorso anno: mi ha detto che in venti giorni mi metteva in piedi e così è stato".

"Fisicamente e psicologicamente mi sento bene, faccio il mio lavoro, guido tutti i mezzi che mi servono per il mio lavoro, dai camion ai trattori, anche se ho fatto mettere il cambio automatico. E, soprattutto, non prendo più gli antibiotici che ho preso per otto anni. La cosa più difficile? Dirlo ai miei due figli, non avevo avuto il coraggio di confessare loro che avrebbero dovuto amputarmi la gamba. Quando l’ho detto mi hanno risposto: ’Papà l’importante è che tu stia meglio’". E così è stato.

"Ha fatto un paio di interventi anche da noi perché quando il paziente non è convinto bisogna comunque fare un tentativo. L’amputazione è un fatto molto traumatico – spiega il professor Faldini – e occorre che il paziente abbia subito la possibilità di camminare, seppur con una protesi provvisoria e quella l’ho creata io con la mia èquipe, qui al Rizzoli. E’ una tecnica che ho appreso molti anni fa negli Stati Uniti, in una clinica che si occupava dei reduci del Vietnam. Il trauma di non avere più un arto, o una parte di esso, si riduce se è subito disponibile una protesi e da un punto di vista dei risultati la ripresa è più rapida: è uno strumento per tornare subito alla normalità. E’ chiaro che tutto questo non è possibile farlo da soli, ma lavorando in team – dichiara il chirurgo –. Fondamentali le collaborazioni con il servizio di Anestesia, anche per gestire l’arto ’fantasma’ e la Fisioterapia. Poi c’è il rapporto stretto che abbiamo con il Centro Protesi Vigorso di Budrio. Infatti la protesi definitiva del signor Barbuto è stata fatta nei loro laboratori".

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