
di Federica Orlandi
Una famiglia "come quelle delle pubblicità", ma che dietro le mura dell’appartamento in via Bianconi, zona Murri, forse nascondeva ben altro. Una "palude" da cui non si poteva uscire. Almeno questo è il quadro che offre uno storico amico di Giampaolo Amato e Isabella Linsalata sulle dinamiche della loro famiglia. Dinamiche che, se le accuse verranno confermate dai giudici, potrebbero avere portato non a uno, bensì due omicidi. Lui, Amato, è l’oculista ed ex medico della Virtus basket ora in carcere per l’omicidio di lei, sua moglie Isabella, medico a propria volta, morta a causa di un cocktail di farmaci – Midazolam, una benzodiazepina, e sevoflurano, un anestetico ospedaliero – il 31 ottobre del 2021.
L’amico, medico pure lui, è stato anche sentito dagli inquirenti nel corso delle indagini coordinate dalla Procura – pm Domenico Ambrosino – e dai carabinieri del Nucleo investigativo, per chiarire se avesse in passato ceduto farmaci all’indagato o alle vittime. Al plurale, perché Amato è accusato anche della morte della suocera, Giulia Tateo, 87 anni, deceduta 22 giorni prima della figlia in circostanze identiche e a sua volta risultata positiva a Midazolam e sevoflurano.
"Non posso credere che Giampaolo abbia fatto quello di cui è accusato", racconta l’amico. "È sempre stato una persona brillante, di successo. Isabella era meno socievole, ma molto dedita al suo lavoro e alla famiglia. Quando ho saputo dei loro problemi coniugali, prima della relazione, scoperta da Isabella, che lui intratteneva con un’altra, mi sono stupito". Per l’accusa infatti un possibile movente dell’omicidio è la relazione extraconiugale di Amato, dal 2018, con una donna più giovane. Ma un’ombra, sulla famiglia, pare ci fosse già. "Per Isabella, molto religiosa, il divorzio era fuori discussione. So che ne avevano parlato, ma lei aveva fatto muro. Inoltre, credo che l’immagine che mantenevano all’esterno, quella della famiglia perfetta, potesse avere un peso. Li facesse sentire bloccati in quel ruolo". L’amico racconta di una "tensione accumulata nel tempo. Isabella con la madre, che viveva con loro, e la sorella, che abitava poco distante, formava un trio compatto. Si facevano forza a vicenda dopo la morte del padre tanti anni prima. So che Anna Maria (la sorella di Isabella, che per anni ha conservato quella che ora è la prova chiave dell’accusa, una bottiglia di vino risultata contenere Midazolam che Amato offrì alla moglie nel 2019, periodo in cui lei accusava stordimenti e risultò positiva alle benzodiazepine senza sapere di averne assunte ndr) temeva che Giampaolo potesse sentirsi invischiato in una palude da cui non poteva uscire. E che potesse fare del male alla sorella".
Per quanto riguarda l’eventuale movente economico, il collega testimone non si sbilancia: "So che avevano avuto grosse spese, anche per fare studiare i figli, ma nient’altro". Sulla suocera trovata morta nel suo letto il 9 ottobre 2021, il medico prosegue: "Era anziana, ma in ottima salute. Quando mi hanno detto che era morta sono rimasto male, non me l’aspettavo".
Ma Amato, che tipo era? "Sempre allegro, espansivo. Brillante. Ma mai si è lasciato andare con me a confidenze sulla sua vita o la sua famiglia che potessero sottintendere qualche tensione. Teneva molto all’immagine di perfezione che avevano gli altri di lui. Nonostante io gli avessi offerto amicizia, il legame non è mai andato troppo in profondità".
Ora, Amato rimane nel carcere della Dozza dopo che circa un mese fa il tribunale del Riesame ha respinto la richiesta dei suoi legali, gli avvocati Gianluigi Lebro e Cesarina Mitaritonna, di liberarlo. Nel frattempo, si attende la chiusura delle indagini da parte della Procura, sia sulla morte di Isabella sia su quella della madre, il cui corpo è stato riesumato lo scorso gennaio.