Amianto a scuola Bologna, Ministero condannato. "Dopo vent’anni giustizia per mia madre"

Parla la figlia della prof Olga Mariasofia D’Emilio, insegnante alle medie Farini. Il ministero dell’Istruzione condannato a risarcire quasi un milione di euro

Olga Mariasofia D’Emilio

Olga Mariasofia D’Emilio

Bologna, 21 dicembre 2021 - "La sentenza del Tribunale del lavoro è importantissima, non solo perché rende giustizia a quindici anni di sofferenza di mia madre, quanto perché è un precedente che fissa delle responsabilità e che traccia una strada per gli altri malati da amianto della scuola". Silvana Valensin ha rinunciato a tutto per occuparsi di sua madre, insegnante in pensione colpita da mesotelioma, un tumore dovuto all’esposizione all’amianto. Olga Mariasofia D’Emilio, così si chiamava la prof di Scienze, aveva insegnato alle medie Farini di via Populonia. E non è vissuta abbastanza per vedere conclusa la causa che aveva intentato, con gli avvocati Ezio Bonanni e Massimiliano Fabiani, al Ministero dell’istruzione. Vicenda che si è chiusa l’altro giorno, in primo grado, con il Miur condannato al risarcimento di 930.258 euro per la presenza di amianto a scuola.

Signora Valensin, è stata una battaglia lunga, complessa e dolorosa. Ma ora c’è la parola fine. E vi dà ragione. "Dal 2007 chiedevamo solo giustizia, dopo il riconoscimento della malattia professionale di mia madre, dovuta alla presenza di amianto nella scuola dove insegnava. Quando si è ammalata, aveva 72 anni. Era il 2002, lei era andata in pensione nel ’90. Gli anni successivi, fino al 21 febbraio del 2017 quando è morta, li ha passati tra chemioterapie, interventi e poi ancora ricoveri. Chiusa in casa, perché intanto aveva sviluppato, dopo la chemio, la sindrome Mcs. Sono stati anni dolorosi, in cui però non ha mai smesso di lottare".

Come vi siete accorti della malattia? "È stato complicato, ci sono voluti otto mesi per arrivare alla diagnosi, terribile. È iniziato tutto con una difficoltà respiratoria. Da lì sono partiti gli accertamenti, complessi, perché il mesotelioma è di difficile diagnosi oggi, figuriamoci 20 anni fa. Di solito dà una prospettiva di vita cortissima, ma nella mamma, fortunatamente, la malattia procedeva lenta. Poi c’è stata l’operazione per l’asportazione del tumore, a cui in media sopravvive un paziente su quattro, che abbiamo deciso di fare perché a Bologna c’era un luminare del settore".

E poi c’è stata la battaglia giudiziaria. "Nel 2007 si è aperto il primo procedimento davanti al tribunale del Lavoro. Avevamo citato sia il Comune che il Miur. Poi, in una serie di corsi e ricorsi giudiziari, il processo è passato al Tar e il Comune è uscito dalla vicenda, che è passata dalla Cassazione di nuovo al Tribunale del lavoro. La mamma intanto era morta e io e mio fratello avevamo deciso di affidarci all’Ona (Osservatorio nazionale amianto) e ai suoi avvocati, che da anni si battono per far avere giustizia alle vittime dell’amianto e per la bonifica delle scuole, perché più nessuno debba soffrire come mia madre".

Dov’era l’amianto a scuola? "Nel pavimento c’erano frammenti in amianto. La cosa assurda è che nell’altro plesso, dove c’erano le elementari, pulivano a terra con spazzole abrasive".

Cosa desidera ora? "Il risarcimento alla fine è simbolico, perché la metà ci è stata già data negli anni dall’Inail per la cura della mamma. Io vorrei solo che lo Stato prenda coscienza e bonifichi le scuole. In regione ce ne sono 430 ancora contaminate".

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