Bologna, rugbista disabile dopo un incidente. Lo aiutano i campioni

Toccante pellegrinaggio di solidarietà da Andrea Plano Canova, da oltre un anno in ospedale

Andrea Plano Canova (al centro) con mamma Laura e i campioni del rugby (FotoSchicchi)

Andrea Plano Canova (al centro) con mamma Laura e i campioni del rugby (FotoSchicchi)

Bologna, 2 dicembre 2019 - E’ uno sport rude il rugby. Rude ma nobile. Tanto per dire: uno dei simboli della palla ovale, Andrea Lo Cicero, è per tutti ‘il barone’. Andrea ha inviato una lettera ad un altro Andrea e fra le altre cose gli ha scritto: «Il rugby ti insegna a non lasciare indietro nessuno». L’altro Andrea è più sfortunato del barone, perché da quasi un anno e mezzo (primo agosto 2018) è disteso in un letto d’ospedale; era in moto sul lago di Garda, fu travolto da un’auto. Uno strazio, che centinaia di famiglie italiane vivono ogni anno sulla loro pelle. E’ finito tutto lì, eppure è ricominciato tutto lì. Andrea Plano Canova, veronese, 24 anni, giocatore di rugby di serie A (Valpolicella), è stato a lungo più di là che di qua: prima in coma, poi in stato vegetativo, poi di minima coscienza, poi…

Poi diciamo che ora «c’è», è evidente che c’è. Riesce persino a comunicare (alla sua maniera, ovvio), ma è come un bimbo che deve imparare di nuovo a crescere, a fare tutto. «Non arrendersi mai» c’è scritto, c’era scritto anche prima dell’incidente nel suo status su WhatsApp. Quasi una premonizione.

Il rugby ti insegna a non lasciare indietro nessuno, ci diceva il barone, e in queste settimane il mondo della palla ovale ha dato una straordinario esempio di nobiltà. Lo Cicero è andato a trovare Andrea, e non lo conosceva prima dell’incidente: ha scherzato con lui, se l’è coccolato, per dire ha preso un rasoio e gli ha fatto la barba. Poi sono arrivati altri campioni, altri giocatori di serie A, quelli delle Zebre che sfidano i migliori club europei: sono passati Carlo Canna, Oliviero Fabiani, Andrea Bisegni, dirigenti, allenatori, rugbisti in carrozzina. Una sorta di festa. E lui, lo sfortunato Andrea, che chiedeva loro le cose più banali, più normali. «Ma quando sei grosso, alle ragazze piaci?».

Questa processione di solidarietà si è svolta a Bologna, dove il ragazzo è ospite da un po’ di tempo di uno dei dieci mini appartamenti della Casa dei Risvegli, una struttura che mezza Europa ci invidia e che è la dimostrazione di come dal male possa nascere il bene. Sì, perché tutto questo ben di Dio è sorto dalla disperazione prima e dall’intuizione poi, di due genitori, Fulvio De Nigris e Maria Vaccari, che nel 1998 persero il loro Luca, 16 anni, finito in coma dopo un intervento chirurgico, poi risvegliatosi ma trovato morto nel letto di casa pochi giorni dopo aver lasciato l’ospedale. Dalla Casa dei Risvegli sono passati dal 2004, anno della nascita, quasi 400 persone, un’infinità di ragazzi, che magari per un tuffo sfortunato da una scogliera si sono giocati il futuro. Non si fanno miracoli alla Casa dei Risvegli, si insegna con professionalità e magari con tenerezza (anche ai familiari) a ricominciare un po’ tutto daccapo. «Sono qui – ha detto Lo Cicero – in mezzo a persone che lottano per una nuova vita, per riscrivere il libro della loro vita».

Sarà un caso, o forse no, che Andrea, abbracciato dal suo mondo, stia riscrivendo il libro della sua vita a Bologna, proprio quella Bologna dove un altro sport, il calcio, sta fornendo un gigantesco esempio di nobiltà: quello di Sinisa Mihajlovic, con la sua leucemia da sconfiggere. Con una società, il Bologna Fc, che lo abbraccia, senza fare conti; una città che lo coccola; tutta l’Italia, senza più steccati, che si alza in piedi per applaudirlo. Lo sport, la vita dello sport, può renderci anche più umani, sì.

E di fronte a questa roba qui, di fronte a questa gigantesca roba qui, poco importa se fai gol o colpisci un palo, se fai meta o vieni placcato un attimo prima.

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