
Il libro di Giuseppe Raimondi fu pubblicato nel 1970 e, finalmente, rieditato oggi
Fumista, figlio di fumista (venditore di stufe), socialista e figlio di un socialista, Giuseppe Raimondi (1898-1985), poeta e letterato bolognese, fu amico di Giorgio Morandi, il migliore amico, forse. Il libro di Raimondi, ’Anni con Giorgio Morandi’ (già Mondadori 1970, poi Abscondita 2024), sarà presentato oggi alle 17,30 a MAMbo, con un dialogo tra il curatore Filippo Milani, il direttore Lorenzo Balbi, Marco Antonio Bazzocchi e Marilena Pasquali.
Diviso in 15 capitoli che comprendono il “ritratto” di Morandi, un saggio sulle incisioni e l’epistolario tra i due durante le Guerre mondiali, il volume apre uno sguardo incredibile su Bologna del secolo scorso, sull’ ’artigiano’ autodidatta che aveva imparato a parlare "in questo aspro, violento, materiale linguaggio" che è il dialetto bolognese, e sulla bottega di stufe di piazza Santo Stefano…
Promotore della rivista letteraria La Raccolta, poi segretario di redazione de La Ronda e de L’Italiano di Leo Longanesi, Raimondi intende "far rinascere la cultura dopo le tragedie della guerra". A lui si rivolge Giorgio Morandi, impaziente di leggere La Ronda nel 1919: l’artista e lo scrittore si scambiano idee, libri, fotografie, saluti ("saluta De Chirico", gli dice Morandi in una missiva del 1919). "Ogni opera di Morandi – scrive l’amico letterato – rappresenta non solo per una ragione di complessità compositiva, un suo bisogno, la propensione del tutto umana, e direi passionale, di far vivere e coesistere, dentro lo spazio, quasi la stanza illusoria, che sono stati concepiti dalla mente, gli oggetti e le persone".
Amici di de Pisis, Carlo Carrà, Mario Bacchelli (fratello di Riccardo), Vincenzo Cardarelli, Emilio Cecchi, i due si frequentano per anni, vengono arrestati brevemente nell’aprile del 1943 con Francesco Arcangeli, Cesare Gnudi, Carlo Ludovico Ragghianti. Saranno scarcerati per intercessione di Roberto Longhi e di Mino Maccari.
"La modesta casa di via Fondazza" (oggi Casa Morandi ndr) scrive Raimondi in ’Morandi dal vero’, "l’esistenza che esseri umani vi trascorrevano… Bologna, in quegli anni, fu l’inconsapevole testimone di fatti singolari". Il 1919, continua lo scrittore, è un anno “fatale” per Morandi: le scoperte della pittura del Greco, Cézanne, Caravaggio, la copia dal vero di opere della Pinacoteca Nazionale, da Lorenzo Costa a Tintoretto, poi l’influenza e la meditazione sui coetanei Carlo Carrà e Giorgio De Chirico, il cauto accostarsi al Futurismo, alla Metafisica: l’artista sta costruendosi. Lucido e deciso, il pittore quasi trentenne ha intrapreso la sua strada, "Giotto e Masaccio sopra tutti poi i moderni Corot, Courbet, Fattori (…), Carrà e Ardengo Soffici".
E Longhi, infine, nel 1964: "Il mio sbigottimento alla notizia della morte di Giorgio Morandi non è quasi tanto per la cessazione fisica dell’uomo, quanto, e più, per la irrevocabile, disperata certezza che la sua attività resti interrotta, non continui (…)".