Morte Mihajlovic, Antonacci. "Se n’è andato in silenzio, come i grandi"

Il ricordo del cantautore: "Era un leader. Dovevamo andare a cena assieme, ma abbiamo rimandato finché è stato troppo tardi"

Bologna, 17 gennaio 2022 -  "La vita mi ha insegnato che non bisogna mai rimandare al domani quello che può accadere oggi, perché i mancati appuntamenti sono poi quelli che rimpiangerai di più, con Sinisa è andata proprio così" racconta Biagio Antonacci, col pensiero a Mihajlovic.

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Lo frequentava?

"Lo conoscevo da quando giocava all’Inter, perché il mio passato nei Boys nerazzurri era sempre lì a farmi emozionare davanti ai campioni come quando ero bambino. Poi Sinisa era diventato un mio grande fan e, anche se a Bologna ci vedevamo poco, ci scrivevamo sempre".

Il cantautore, molto legato a Bologna, Biagio Antonacci
Il cantautore, molto legato a Bologna, Biagio Antonacci

Cosa?

"Continuavamo a prometterci una cena al ristorante che, purtroppo, non è mai arrivata. Un po’ per colpa del Covid, un po’ di questa vita sempre di corsa che spesso non ti lascia il tempo di coltivare i rapporti come vorresti".

Che le diceva?

"Mi pigliava in giro per i 34 minuti che ho giocato una ventina di anni fa con la maglia della Cavese, nell’ultima giornata di campionato contro i siciliani del Vittoria, per festeggiare la promozione in C2. Per un gioco del destino, infatti, allora alla Cavese c’era parte dello staff che poi lui si sarebbe poi portato a Bologna".

In quella cena lei ci ha sperato fino all’ultimo?

"Sì, perché Mihajlovic aveva fatto dei passi avanti. Anche importanti. Ma alla fine se n’è andato, in silenzio. Come se ne vanno i grandi".

I figli li conosce?

"Conosco Viriginia, che è una mia grande fan e, a primavera, mi aveva pure invitato al suo matrimonio in Puglia, poi rimandato per un improvviso ricovero del padre".

Cosa rimane?

"Dico sempre che la presenza è il limite dell’uomo. Una persona puoi averla vicina anche solo se la senti. E io Mihajlovic l’ho sempre ammirato molto, sia come campione che come allenatore in campo. E leader negli spogliatoi. Perché era uno che sapeva farsi rispettare, dote rarissima negli allenatori che devono avere gli attributi per gestire delle superstar come i fuoriclasse di oggi".

Un po’ quel che capita a lei su e giù dal palco.

"Esatto. I musicisti sanno che se il loro ‘allenatore’ è carico, non possono non esserlo pure loro e viceversa. Pure io sono salito sul palco di Bari tre giorni dopo la scomparsa di mio padre. E avevo addosso l’energia che dà il rispetto e la riconoscenza che si deve a chi ci lascia sulla terra". -

Qual è la forza dell’"allenatore"?

"Saper perdonare gli errori fatti col cuore e arrabbiarsi quando vengono fatti con superficialità o poca concentrazione. Sul campo come sul palco".

 

 

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