
L’identikit dell’uomo che era in via Volturno e. Fabio Savi, completamente diverso
Ci sono due identikit stilati dalla polizia subito dopo la strage all’armeria di via Volturno. Uno è praticamente la ‘fotografia’ di Roberto Savi. L’altro ritrae un uomo con i baffi, il naso sottile, una giacca a quadri. I primi testimoni, che l’incrociarono quella mattina del 2 maggio 1991, dicono che sembrasse distinto. E non avesse alcun accento. Nulla a che vedere con la cadenza romagnola marcata di Fabio Savi, a cui quel disegno non somiglia affatto. Eppure, per l’omicidio dell’ex carabiniere Pietro Capolungo e della titolare dell’armeria Licia Ansaloni, la giustizia ha ritenuto responsabili solo i due fratelli Savi. Questo benché lo stesso Roberto, l’8 febbraio del ’96, davanti alla Corte d’Appello di Rimini, avesse escluso la presenza del fratello (versione poi ritrattata) parlando invece di una terza persona che avrebbe dovuto prendere delle armi da Capolungo. Ma al di là dell’identikit poco affine, sulla scena la polizia Scientifica quel 2 maggio di 34 anni fa aveva repertato anche cinque impronte digitali appartenenti a una persona sconosciuta e diversa dai sei componenti della banda. Impronte mai attribuite ad alcuno.
I famigliari delle vittime, nel dettagliato esposto che fa da base all’inchiesta bis sui delitti della Uno Bianca, sottolineano anche per il sangue dell’armeria collegamenti con gli altri delitti dei Savi. In particolare con la strage del Pilastro, che era avvenuta tre mesi prima. Il filo da seguire sono le armi. Ma anche l’uomo con la mascella pronunciata, visto a bordo di un’Alfa 75 seguire la Uno Bianca quella sera di gennaio in via Casini. La descrizione fornita dai testimoni dell’epoca concorda con quella dell’uomo ‘distinto’ dell’armeria. Il cui obiettivo, sono convinti i famigliari delle vittime, era Capolungo. Ma perché? Cosa sapeva? O cosa aveva intuito? I Savi e Occhipinti erano clienti dell’armeria dal ’77. Già all’epoca Capolungo dava una mano nel negozio. E forse, dopo il Pilastro, aveva intuito un collegamentro tra quei clienti e la strage. E per questo è stato eliminato. Un collegamento legato ad armi e munizioni: come i proiettili calibro 222 utilizzati per massacrare i tre giovani carabinieri in via Casini. Che se collegati all’armeria, avrebbero permesso di risalire ai Savi. O il bossolo ‘fantasma’, sempre presumibilmente calibro 222, che sarebbe stato ritrovato, poco prima dell’assalto di via Volturno, nel poligono abusivo di San Lazzaro di proprietà dell’ex titolare dell’armeria. Un luogo dove i Savi e altri appartenenti a forze dell’ordine - e forse dei servizi - andavano a sparare. Un bossolo che è scomparso dalle scene, malgrado i sospetti espressi da chi lo trovò a due carabinieri, un finanziere e un agente del Sismi, a cui lo consegnò. Senza ottenere che si investigasse su quel luogo.
Nicoletta Tempera