
L’installazione in via Zaccherini Alvisi parte dai manifesti della Fondazione Gramsci
In questi mesi, chi è passato in via Zaccherini Alvisi 11/2 avrà certamente notato qualcosa di particolare: non i soliti manifesti pubblicitari, ma un’intera parete tappezzata di immagini dal forte impatto visivo. È AI Manifesta, un’installazione che esplora il linguaggio della propaganda politica a partire dall’immenso archivio di manifesti della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna. A idearlo sono stati Chiara Moresco, artista e curatrice con un approccio multidisciplinare, e Francesco D’Isa, artista e filosofo, noto per il suo lavoro tra arte digitale e riflessione teorica. Il progetto è a cura di Sineglossa, Moresco, com’è nato ‘AI Manifesta’ e a quale finalità?
"È nato da un’esigenza concreta della Fondazione Gramsci: valorizzare e rendere pubblicamente visibile la propria straordinaria collezione di manifesti politici che conta circa 17mila esemplari. Francesco D’Isa ed io ci siamo interrogati su come rendere attuale tale patrimonio e abbiamo pensato di farlo dialogare con l’intelligenza artificiale. Non tanto per ottenere un risultato ’futuristico’, quanto per capire il tipo di lettura che un algoritmo, cioè qualcosa di non umano, avrebbe potuto restituire di un linguaggio così denso, codificato e storico come quello della propaganda".
Come avete lavorato sui materiali dell’archivio?
"Abbiamo passato in rassegna i manifesti insieme al team della Fondazione, scegliendo circa un centinaio di pezzi. Abbiamo dato questi materiali come riferimento visivo a un’IA generativa già addestrata su immagini di varia natura. Quindi non le abbiamo insegnato a fare manifesti politici, ma l’abbiamo lasciata libera di generare nuove immagini a partire da quei codici. L’output è stato sorprendente: immagini riconoscibili per composizione, simboli e stile, ma svuotate di senso. C’erano pugni, bandiere e scritte, ma queste ultime sembravano frasi senza contenuto, un linguaggio che si imita da solo".
Questo tipo di ambiguità era previsto?
"È stato un passaggio cruciale. All’inizio pensavamo che l’IA avrebbe semplicemente rielaborato gli elementi, ma ci siamo accorti che produceva immagini che ’funzionavano’ esteticamente, pur non dicendo nulla. Questo ha aperto un interrogativo molto più ampio: cosa succede quando una macchina replica i simboli della lotta, dell’ideologia e della storia senza comprenderli? Abbiamo deciso di non correggere questo processo, ma di assecondarlo e portarlo alle estreme conseguenze".
Come sta reagendo il pubblico?
"Molti li scambiano per manifesti veri. Ci piaceva proprio questa ambiguità: che chi passa si fermi, incuriosito, e poi si accorga che non c’è un messaggio diretto. È un meccanismo che racconta anche il nostro modo contemporaneo di fruire le immagini: veloce, distratto, automatico. Se l’IA qui è un motore di produzione, è anche uno specchio su come guardiamo e su quanto siamo ancora capaci di leggere davvero".
Manuela Valentini