Distribuire prodotti in tutto il mondo, "allargando sempre di più i mercati sia di import che di export e affiancando i clienti in ogni settore". Natasha Linhart è la Ceo di Atlante, distributore esclusivo per l’Italia di una pluralità di marchi internazionali.
A distanza di 30 anni dalla nascita, l’azienda alimentare che ha sede a Bologna continua a crescere con 160 siti produttivi, duemila prodotti e 130 clienti sparsi nei vari continenti. Negli ultimi 6 anni il fatturato di Atlante è salito di 100 milioni di euro, toccando quota 252,2, e nel business plan 2024-2026 è in programma un’altra crescita.
Come ci siete riusciti?"Un grande lavoro di squadra, con un processo di upskilling delle competenze. Abbiamo cavalcato dei trend di mercato che poi si sono rivelati molto validi, come in Italia quello dello yogurt greco: un fenomeno incredibile, che cresce del 20% all’anno. Siamo entrati nel mercato con un produttore nostro partner greco, affidabile e valido. Abbiamo fatto private label della maggior parte delle catene italiane, in un momento in cui le private label (i prodotti col marchio del distributore, ndr) hanno preso il sopravvento vista la congiuntura finanziaria e la conseguente ricerca di prodotti più economici".
Come va l’export e su quali nuovi mercati vi siete aperti? Si sente ancora la forza del Made in Italy?"Il 45% del fatturato è export e vogliamo portarlo al 50% nel 2025. Dobbiamo elevare sempre di più le nostre competenze burocratiche perché in alcuni paesi ci sono barriere all’entrata, con sistemi molto complessi. Serve quindi la perfezione per essere accettati dalle dogane. In Giappone e Corea infatti abbiamo avuto una grossa crescita. Ora il prossimo step è la Cina. In Svizzera e Inghilterra, siamo riusciti invece a portare specialità del Made in Italy. In Svizzera abbiamo fatto una grande gamma di prodotti, anche con specialità regionali. In Inghilterra abbiamo una filiale che si occupa della vendita di prodotti italiani. Ma non basta sempre il Made in Italy: in Giappone sulla pasta abbiamo una fortissima concorrenza della Turchia. Dobbiamo spingere quindi di più su ciò che è veramente speciale dell’Italia, come i vini regionali, i prodotti locali, DOP e da Consorzi. Oltre che entrare nel retail dobbiamo puntare al food service".
Riguardo l’import e il mercato interno, avete deciso di rinforzarvi ulteriormente in Italia. In che modo?"Il nostro investimento principale è sulle persone. Bisogna attrezzarsi per fare questa nuova sfida nel food service: abbiamo strutturato un ufficio apposito per un settore totalmente diverso dal retail, visto che bisogna servire la ristorazione, gli ospedali, le scuole, i bar. Un mondo diverso e in crescita su cui però noi crediamo tanto".
Quanto influiscono negativamente sul mercato del food i conflitti alle porte dell’Europa?"La parte più compromessa è la catena delle forniture. Ci sono luoghi del mondo, come Gibilterra, Suez, Malacca e Panama, che sono diventati punti strozzati. I trasporti sono in seria difficoltà, con costi più alti e navigazioni molto più lunghe, anche di mesi".