Bambini dimenticati in auto, Remmy premiata dalla Ue. "Non si può morire così"

L’Europa premia il salva-bimbi dell'azienda bolognese, ma la legge italiana è ferma. Servalli: "Il blackout della mente può colpire tutti"

Michele Servalli è ceo della Remmy, azienda bolognese

Michele Servalli è ceo della Remmy, azienda bolognese

Bologna, 27 stetembre 2019 - Da un lato l’oro riconosciuto a Remmy, dall’altro il piombo di una burocrazia lenta e pesante. Sono le due facce di un’Italia sospesa tra il guizzo del privato e l’inerzia di una macchina statale che troppo spesso varca il traguardo fuori tempo massimo. Un paradosso di cui i dispositivi antiabbandono per auto non rappresentano che l’ennesimo esempio. Si tratta del settore in cui opera Remmy, appunto, l’impresa bolognese di cui Michele Servalli è fondatore e ceo. L’unica azienda italiana che la Commissione Europea ha ritenuto di premiare nell’ambito della prima edizione del «Product Safety Award». 

Servalli, cosa ha pensato quando ha saputo del bimbo morto a Catania? «È la solita dinamica, ho i brividi ogni volta che ne parlo, non ci si abitua mai».

Cosa intende quando parla di dinamica? «Molti genitori pensano che una cosa simile non possa mai accadere loro, ma non è così. Si tratta di un fenomeno chiamato amnesia dissociativa, è un blackout della mente dovuto allo stress: capita a tutti noi quotidianamente di non ricordare dove abbiamo messo il cellulare o le chiavi della macchina, di pensare che sono in un posto mentre invece sono in un altro; purtroppo può capitare anche con un bimbo. E quando accade è una tragedia. Ho conosciuto personalmente più persone a cui è successo, e ogni volta il trauma si rinnova. Non c’è una parola per definire la morte di un figlio, è del tutto innaturale».

Com’è nata l’idea di Remmy? «Nel 2008, quando lavoravo in una società di consulenza, ho sentito alla radio il caso della bimba morta a Lecco dopo essere stata lasciata in auto dalla madre. E ho pensato: ‘Ma com’è possibile? A me non capiterà mai’. Nel 2013, quando la tragedia è accaduta a Piacenza, un mio collega dell’epoca, Carlo Donati, mi ha detto: ‘Michele, hai visto quello che è successo?’. Così ci siamo detti di non restare con le mani in mano e in cinque mesi abbiamo fatto partire la startup».

Come funziona il dispositivo? « È un sensore di pressione che va sistemato sotto la fodera del seggiolino e collegato con un cavo all’accendisigari. Avverte con un segnale sonoro in due casi: se il bimbo non è bloccato bene e quindi si muove, e quando si spegne il motore, per ricordarci che a bordo c’è un bambino. Quest’ultimo è il motivo principale per cui è stato progettato».

Caratteristiche premiate dalla Commissione Europea. «Sei anni fa nessuno parlava del problema, questo prestigioso premio mi ripaga e mi stimola».

Sarà orgoglioso anche di aver contribuito alla stesura della legge sull’obbligo del dispositivo anti-abbandono per auto a bordo. Di questo tiene conto anche la motivazione del premio. «Ho studiato a fondo la materia, me ne occupo da anni. Mi hanno chiesto un parere e mi sono messo a disposizione del ministero dei Trasporti per fornire il mio contributo di esperienza».

La legge, approvata ad ottobre 2018, entrerà in vigore con il varo del decreto attuativo. Come vi state preparando all’introduzione dell’obbligo? «Compiamo sei anni in questi giorni, siamo una piccola impresa innovativa, come dimensioni dobbiamo considerarci ancora una startup. Ma in vista della novità legislativa ci stiamo strutturando. Al momento esistono circa 250 negozi rivenditori autorizzati Remmy, altrettanti sono in attesa del cambiamento normativo».

Com’è organizzata l’azienda? «A livello operativo siamo in tre, ventitré i soci. Dei tecnici realizzano le nostre idee, della produzione si occupano la Tebo, un’azienda di San Lazzaro, e una cooperativa sociale, l’Arca di Noè. Mi piace l’idea di aiutare le persone a rientrare nel mondo del lavoro».

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