"Bar e ristoranti sono alla disperazione"

L’allarme di Renzi, segretario di Confartigianato: "Vengono penalizzati ancora, ma i dati dei contagi dimostrano che i divieti non servono"

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di Luca Orsi

"Siamo alla disperazione". Amilcare Renzi, segretario di Confartigianato Bologna metropolitana, non usa mezze parole: "Gli operatori economici non ne possono più". E la nuova ‘zona arancione’ – in vigore fino al 15 gennaio, poi chissà – penalizza ancora il settore della ristorazione. "Con questo continuo alternarsi di divieti, limitazioni e aperture a singhiozzo – afferma Renzi – bar, ristoranti, pasticcerie e gelaterie non riescono a programmare le attività e rischiano la chiusura".

Prima la salute. Non è d’accordo?

"Ci mancherebbe. Ma i dati della pandemia dimostrano che chiudere le attività di ristorazione non ha dato i risultati attesi".

È una misura inutile?

"Serve una riflessione seria. Ristoranti, bar, gelaterie e pasticcerie hanno investito molto per garantire a clienti e dipendenti la massima sicurezza. Non è qui la fonte di contagio".

Dove sta il problema?

"Forse bisognerebbe guardare i grandi contenitori, dove si creano aggregazioni massicce".

Pensa ai supermercati, alla grande distribuzione?

"Per esempio. Luoghi che aggregano centinaia, migliaia di persone possono restare aperti. Mentre il barettino che fa entrare una o due persone per volta, il ristorantino da venti coperti distanziati è costretto a chiudere e a barcamenarsi fra asporto e delivery. Bisogna stare attenti".

A che cosa?

"Se a causa di questo balletto di chiusure e colori cominciano a chiudere delle attività, si spengono le luci delle città. Bar ristoranti, centri estetici e le attività commerciali e artigianali in genere, hanno una importante funzione sociale e di presidio del territorio che, temo, siano sottovalutate".

Lei ha espresso preoccupazione anche per le zone di provincia.

"E le confermo. In alcuni borghi dell’Appennino o della Bassa c’è un unico bar, ci sono pochissimi ristoranti. Come si fa a sopravvivere con l’asporto a Monghidoro o nell’Alto Reno? Parliamo di attività che vivono delle gite fuori porta, aziende che sono volàno di turismo e valorizzazione delle nostre specialità".

Quali altri settori soffrono di più?

"Penso al wedding, alle cerimonie. Sono in fermo totale da quasi un anno. E c’è tutto un mondo legato ai matrimoni: fotografi, abiti da sposa, abbigliamento, catering. Questo settore è stato abbandonato, non ha avuto alcun ristoro".

A proposito di ristori, non bastano quelli erogati?

"La politica dei ristori è totalmente insufficiente. Occorre un censimento dei danni reali, confrontando i bilanci delle attività. Sono dati oggettivi sui quali si dovrebbero calcolare risarcimenti adeguati".

Lei ha il polso dei suoi associati. Se dovesse fare una diagnosi?

"Sono preoccupatissimi. L’amarezza è tanta: non sanno cosa fare, non possono pianificare il lavoro. Molti confessano di pensare alla chiusura. Perché la resistenza ha una fine, se vieni soffocato. Ma ogni attività che chiude, ricordiamocelo, è una sconfitta per tutta la comunità".

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