
La battaglia della Montagnola del 1848 (foto Comune di Bologna)
Bologna, 11 maggio 2025 – Otto agosto 1848: quando Bologna cacciò gli austriaci con le pietre. Una data scolpita nella memoria. Ci sono giorni che una città non dimentica. A Bologna, l’8 agosto è uno di quelli. Non solo per la piazza che ne porta il nome, o per la statua del Popolano che la guarda ancora oggi con fierezza, ma perché in quella torrida estate del 1848, la città insorse e mise in fuga l’esercito austriaco. Senza generali. Senza piani. Senza artiglieria. Solo con l’orgoglio e la rabbia di un popolo.
Il sorbetto che fece esplodere la città
Come spesso accade nelle rivolte popolari, tutto partì da una provocazione. Il 7 agosto, un ufficiale austriaco entrò al Caffè Marabini ordinando un “sorbetto tricolore”, sfottendo apertamente l’ideale dell’unità italiana. La reazione fu immediata: la folla lo aggredì. Il giorno dopo, Bologna esplose.
Da settimane, la tensione cresceva. Le truppe imperiali, guidate dal feldmaresciallo Franz von Welden, erano entrate nella città per “ristabilire l’ordine” dopo la sconfitta dei piemontesi a Custoza. Il governo pontificio aveva ritirato volontari e truppe alleate per evitare spargimenti di sangue. Ma così facendo, aveva lasciato la città indifesa.
Il fronte della Montagnola
L’8 agosto 1848 fu guerra urbana. Le strade si riempirono di barricate, le campane suonarono a stormo. Facchini, lavandai, popolani del Pratello e del Borgo San Pietro impugnarono bastoni, vecchi fucili e persino coltelli da cucina. A guidare la Guardia Civica c’era il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli, aristocratico sì, ma con il coraggio di un tribuno.
Il fronte più duro fu alla Montagnola, dove gli austriaci provarono a sfondare con due cannoni e un obice, sparando anche proiettili incendiari. I bolognesi risposero casa per casa. Le donne correvano tra le barricate: lanciavano pietre, curavano feriti, incitavano i combattenti. I tetti diventavano trincee. Le strade, trappole.
Porta per porta, casa per casa
A Porta San Felice, il popolano Paolo Mela resistette da solo sotto i colpi nemici. A Porta Lame, gli austriaci penetrarono ma furono respinti fino alla chiesa dei SS. Filippo e Giacomo. Palazzo Gnudi prese fuoco, ma i pompieri lo salvarono.
Quando calò la sera, gli austriaci – decimati e umiliati – batterono in ritirata da Porta Galliera. Welden, l’uomo che minacciava “rovine fumanti”, fuggì da una città che credeva facile preda. Bologna aveva vinto. Senza esercito, ma con il cuore.
La città che si fece da sé
«Il popolo fece da sé», scrisse Carolina Pepoli in una lettera a Letizia Murat. E tanto bastava. Per questo Bologna fu decorata come “Benemerita del Risorgimento Nazionale”. Per questo oggi, quel Popolano in bronzo, fiero e silenzioso, guarda ancora la piazza: ricorda il giorno in cui la città fu padrona del proprio destino.
Ampi stralci di questo articolo sono tratti da un contributo apparso su “Nelle valli bolognesi”, magazine edito da Emil Banca e distribuito nelle sedi dell'istituto e in allegato a 'Il Resto del Carlino'.