Battuta su Pokemon e tortura, bufera web sul poliziotto

Ilaria Cucchi stigmatizza su Facebook un tweet del dirigente della polizia postale. La replica: "Parlavo solo dei rischi che corrono gli adolescenti in rete"

Ilaria Cucchi con un poster che mostra le condizioni del fratello Stefano, morto nel 2009 dopo un arresto

Ilaria Cucchi con un poster che mostra le condizioni del fratello Stefano, morto nel 2009 dopo un arresto

Bologna, 25 luglio 2016 – Bufera in rete per il tweet di un dirigente di polizia duramente stigmatizzato da Ilaria Cucchi. «Ho catturato un Pokémon! Se non lo rilascio in fretta rischio di essere condannato per il reato di tortura?!». La frase è stata scritta il 22 luglio su Twitter dal dirigente della Polizia Postale dell’Emilia-Romagna, Geo Ceccaroli, e ha scatenato l’indignazione della sorella di Stefano Cucchi, il giovane morto nel 2009 dopo un arresto. «Che ironia vuole essere questa? La legge sulla tortura è una cosa molto seria, soprattutto in questo momento e soprattutto in Italia», scrive Ilaria Cucchi su Facebook, un post pubblicato anche in un blog di Huffingtonpost con il titolo «Se un primo dirigente della Polizia ha paura del reato di tortura, io ho paura di lui». Secondo la sorella di Stefano, l’ironia del poliziotto «ci fa capire la sua paura, figlia della disinformazione e della profonda arretratezza culturale che vede la legge sulla tortura come un pericolo per le forze dell’ordine».

La polemica è montata sui social network per tutto il pomeriggio finché, in serata, lo stesso Ceccaroli è intervenuto con una nota per chiarire il suo pensiero, spiegando che la sua battuta, come altre che ha scritto su Twitter nei giorni successivi, era riferita ai rischi del noto gioco per smartphone e non alla proposta di legge. Dopo il tweet del 22, fa notare il dirigente, il 23 luglio «ne ho pubblicato un secondo: ‘Ma se anziché cercare di catturare i Pokemon i ragazzi si dedicassero ad ammazzare le zanzare? Non dormiremmo meglio?’ Ed un terzo il 24 luglio: ‘Pokemon ad Auschwitz! abbiamo cresciuto una generazione senza sentimenti e rispetto; altro che giornate della memoria. Colpa nostra?!’».

«Credo che dall’insieme delle osservazioni che ho postato sul noto social – sottolinea Ceccaroli – si evinca chiaramente come il mio pensiero sia orientato esclusivamente ai pericoli derivanti dall’utilizzo della nota applicazione che nei giorni passati ha visto tanti ragazzi vittime di spiacevoli incidenti mentre giocavano. La mia attenzione per l’applicazione è derivata, oltre che da motivi professionali verso il mondo adolescenziale e le abitudini dei giovani on line, dalla mia condizione di genitore di adolescenti».

«I tweet sono ironiche osservazioni su un’applicazione per richiamare l’attenzione, soprattutto dei genitori, su una novità del web potenzialmente pericolosa per i più giovani; ogni altra interpretazione di quanto scritto non è attribuibile al mio pensiero – conclude Ceccaroli –. Non ho mai inteso esprimere alcuna valutazione sulla proposta di legge relativa al cosiddetto reato di tortura».

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