2 agosto, Bellini: "Non c’entro con questa strage infame"

L’imputato nel nuovo processo del 2 agosto ha ricostruito i suoi rapporti con Avanguardia Nazionale: "Ordinarono loro il delitto Campanile"

Bellini: "Non c'entro con questa strage infame"

Bellini: "Non c'entro con questa strage infame"

"Io voglio che questo processo finisca e si arrivi a una verità". Per sette ore, Paolo Bellini ha parlato. La ‘primula nera’, imputato nel nuovo processo per la strage del 2 agosto, è accusato di essere il quinto esecutore materiale dell’attentato alla stazione. Un’accusa rigettata, con forza, nel corso del dibattimento da Bellini, difeso dagli avvocati Antonio Capitella e Manfredo Fiormonti, che ieri mattina ha iniziato a deporre. "Nonostante mi abbiate accusato di questo delitto infame che è la strage di Bologna – ha detto Bellini – io rimango un collaboratore di giustizia, non ho interesse ad andare contro di voi. Voi siete convinti di una cosa, io di un’altra".

Provato, affaticato dal recente Covid, ma determinato a proseguire l’udienza, Bellini ha ricostruito, rispondendo alle domande del pg Nicola Proto, la sua vita criminale e politica negli anni ’70, partendo dai suoi primi rapporti con la destra eversiva, fino ad arrivare al periodo di latitanza in Brasile. Un percorso iniziato "nel ’72-’73. Mio padre, il senatore Franco Mariani e Giorgio Almirante mi chiesero di infiltrarmi nell’ambiente della Giovane Italia e dell’Msi". L’obiettivo, come spiegato dall’imputato, sarebbe stato individuare esponenti di frange estreme, pronti a "commettere atti da facinorosi, perché Almirante era preoccupato, lui voleva incanalare il partito in quella che è poi diventata la destra nazionale".

Un compito che a Bellini, come spiegato in aula, non dispiaceva, benché fosse spesso in conflitto con il padre. Un rapporto difficile, ripercorso dal pg che ha poi chiesto dei contatti tra Bellini e gli esponenti di Avanguardia Nazionale di Massa Carrara e Parma. Con la contestualizzazione di più episodi, come i candelotti che Pietro Firomini, responsabile della ‘sezione’ di Massa, gli aveva fornito nei primi anni ’70: "Ma quell’esplosivo l’ho usato per fatti miei, non per fare attentati", come ha precisato l’imputato. Ossia, per la "bottarella" fuori dal portone dell’avvocato Vezzosi, che era in conflitto per motivi economici con il padre di Bellini. "Tenni rapporti con Avanguardia Nazionale fino al ’76, quando si sciolse. Poi non ho più fatto azioni ‘politiche’, mi occupavo di furti d’arte". Tra le ‘azioni politiche’ che il pg ha chiesto di ricostruire, in particolare, l’omicidio di Alceste Campanile, esponente di Lotta Continua di Reggio, freddato con un colpo alla nuca il 12 giugno del ’75. Un delitto rimasto irrisolto fino al ’99, quando Bellini confessò di esserne il responsabile. Dando però due versioni diverse del movente: nel ’99 disse di aver agito perché Campanile, che conosceva fin da ragazzini, con una tanica di benzina voleva dar fuoco al locale di sua madre: "Noi ci vivevamo lì. Io sempre in testa le immagini dei ragazzi morti a Primavalle. Avevo paura". Nel 2005, a questa prima versione privata dell’omicidio, se ne aggiunge una più politica: Bellini aveva riferito di aver palato dell’attentato incendiario fallito con gli esponenti di Avanguardia Nazionale di Parma. E insieme avevano concordato di dare "una sonora legnata, che se la ricordasse" a Campanile. Che si era trasformata in un ordine di omicidio - per "destabilizzare la situazione politica a pochi giorni dalle elezionia Reggio" -, arrivato da Massa e poi comunicato a Bellini da Franca Tanzi: "Non dovevamo commetterlo noi, noi dovevamo trovare solo il posto", ha spiegato Bellini. Ma poi, "quella notte io e Roberto Leoni incrociammo Campanile che faceva l’autostop. Gli dissi: ‘Che botta di culo’". Poi, l’esecuzione. "Per me è stato terribile. La cosa più stupida che ho fatto nella mia vita", ha detto, molto scosso, l’imputato. Di fronte al pg che lo incalzava per capire se nella sua prima dichiarazione Bellini avesse voluto tenere fuori gli ‘amici’, ha risposto: "Quel delitto mi avrebbe reso ‘effettivo’ di Avanguardia nazionale. Io avevo un conflitto interiore, per questo non l’ho riferito nel ’99". Un’incongruenza simile, contesta il pg, a quella legata alle due versioni dell’omicidio di Graziano Iori: "Non dovevo ucciderlo. Volevo farmi dire dove si trovava Ivano Scianti, in merito al furto di Pavullo. E forzai la mano. Nel ’99 non dissi nulla per non compromettere l’ispettore dei carabinieri che mi aveva chiesto di ‘aiutarlo’ nell’indagine. Lui non c’entrava nulla con la morte di Iori. È stata solo colpa mia".

 

 

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