Berardi: "Radio d’Oltrecortina, fascino e storia"

Il giornalista bolognese presenta il suo volume: "Ecco il mito delle emittenti italiane nell’Est Europa"

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di Pierfrancesco Pacoda

Erano luoghi difficilmente visitabili, ricchi di un fascino ‘esotico’ che accendeva l’immaginazione, i Paesi dell’Est Europa nei lunghi anni della Cortina di Ferro che li separava dall’Occidente. Per avvicinarsi alla loro cultura, le radio pubbliche di quei Paesi, per decenni, hanno avuto una redazione italiana, che produceva e trasmetteva programmi nella nostra lingua. Un’avventura affascinante, fatta di relazioni che spesso dal virtuale diventavano reali, raccontata nel libro Radiocronache. Storie delle emittenti italofone d’oltrecortina (Prospero Editore) di Lorenzo Berardi, giornalista radiofonico bolognese, un passato a Radio Città del Capo, che adesso vive a lavora a Varsavia.

Berardi, nei Paesi dell’Est Europa esisteva una realtà radiofonica che ha sempre avuto molto interesse per l’Italia.

"L’attenzione delle radio dei Paesi del blocco sovietico per gli ascoltatori italiani ha radici antiche: alcune, come Radio Mosca, hanno iniziato a trasmettere in lingua italiana negli anni 30 e hanno continuato nel periodo fascista, anche durante la guerra. Proprio Radio Mosca, in quel periodo, svolgeva persino una funzione sociale per il popolo italiano, aggiornando regolarmente l’elenco dei dispersi in territorio sovietico durante il tentativo fallimentare di invasione. Naturalmente l’ascolto era vietatissimo dal regime".

A Radio Mosca quali altre emittenti si aggiunsero?

"Ogni paese del blocco sovietico creò all’interno della propria radio pubblica una redazione in lingua italiana, con l’intento di far conoscere, con finalità propagandistiche e culturali, cosa succedesse oltre cortina. I programmi si occupavano di politica, ma avevano anche una aspirazione divulgativa, c’era molta attenzione alle richieste del pubblico. C’erano redazioni italiane nelle radio ungheresi, rumene, polacche, della Germania Est. E, al di fuori della diretta influenza sovietica, in Jugoslavia e in Albania. Radio Mosca, ad esempio, trasmetteva, spesso su indicazioni degli ascoltatori, i concerti di musica classica".

Parlava di richieste da parte degli ascoltatori. Che rapporto c’era tra radio e pubblico?

"Questo è forse l’aspetto più interessante: i redattori avevano la capacità di creare una relazione molto stretta, amichevole, con gli ascoltatori. Rispondeva a tutte le lettere che ricevevano e avevano, tutte queste radio, un’incredibile strategia di marketing, con l’ideazione di una serie di materiali, bandierine, cartoline personalizzate, che divennero rapidamente oggetti di culto per i collezionisti. Poi indicevano dei concorsi che permettevano ai vincitori di fare un viaggio per visitare la redazione, a Mosca come a Bucarest".

Chi erano i redattori?

"In parte erano giornalisti di quotidiani italiani come L’Unità e Paese Sera, inviati nelle radio dal Partito Comunista Italiano, gli altri erano redattori locali, appassioni della nostra storia e del nostro Paese, che avevano studiato italiano all’università".

Cosa rimane oggi di questa esperienza?

"Poco, le redazioni in lingua italiana hanno chiuso in quasi tutti i Paesi dell’Est Europeo. Rimangono i programmi di Radio Tirana e di Radio Capodistria, che sono sempre stati orientati più sull’intrattenimento che sull’informazione politica. Ma, soprattutto, rimangono i gadget, ancora oggi gelosamente conservati nelle case di migliaia di italiani, testimoniano un amore per la cultura e la vita in quei paesi che è stato davvero intenso".

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