Biancastella Antonino: Resistenza, quelle donne dimenticate

Le storie da raccontare

Biancastella Antonino

Biancastella Antonino

Bologna, 25 aprile 2022 - Nadia, Edera, Balella, Mimma, Iole… e le altre, un monumento a Bologna le ricorda e tutti i cittadini dovrebbero provare l’emozione che suscita, così intensa da diventare commozione: è il Memoriale alle donne cadute nella Resistenza, un muro eretto nel parco di Villa Spada, un semplice muro di 50 metri dove sono collocati 128 mattoni che riportano incisi i nomi delle partigiane cadute a Bologna e nel suo territorio; gli studenti degli Istituti d’arte lo hanno decorato con formelle in bassorilievo ispirate alle loro storie e per ultima è stata collocata un’opera dedicata alla figura emblematica della Resistenza al femminile, la staffetta con la sua bicicletta.

Ma chi erano queste donne coraggiose, queste ’ragazze’ del 25 aprile? I loro nomi non sono famosi, soprattutto perché gli studi nel dopoguerra hanno riguardato i partigiani uomini mentre un processo di disconoscimento dell’importanza delle azioni delle partigiane ha declassato di fatto il loro protagonismo. Bisognerà attendere gli anni ’70 perché la storiografia cominci a occuparsi del contributo delle donne alla Resistenza, non certo di retroguardia.

Un decreto legge del ‘45 diede l’avvio al riconoscimento della ‘qualifica’ di partigiano/a, ma molte donne non fecero neppure domanda per ottenerla perché le prove richieste, di carattere soprattutto militare, erano così numerose da scoraggiarle. Alla fine quelle che ottennero il riconoscimento furono nel Bolognese 1.421, solo lo 0,39% delle residenti all’epoca. In sostanza neppure una donna su 100 avrebbe operato nel movimento di liberazione. Un’ipotesi difficile da sostenere specie se si pensa che a ogni partigiano, per operare in clandestinità, dovevano corrispondere almeno 12 persone addette ai vari servizi indispensabili: informazioni, produzione di documenti e stampa, trasporto di armi, medicinali e viveri, cura dei feriti, tutti incarichi ricoperti da donne che potevano muoversi più facilmente.

Per quanto riguarda l’età, l’analisi dei dati ha rivelato che oltre il 70% delle partigiane aveva fra i 15 e i 29 anni; quanto al lavoro, il 45% si dichiarava casalinga, il 40% erano operaie, braccianti, colone, artigiane, solo il 7% erano intellettuali, ovvero studentesse, maestre e insegnanti e il 5,86% impiegate. I titoli di studio erano prevalentemente la licenza elementare, di avviamento e media, mentre un numero inferiore aveva un diploma e solo l’1,0% aveva studiato all’Università. Ne emerge così uno spaccato di popolazione femminile che possedeva un sufficiente, se non discreto livello di istruzione. Molto, comunque, c’ è ancora da approfondire sull’effettivo apporto delle donne, ma sicuramente, dal numero delle partigiane cadute, ben 128, si evince che il protagonismo femminile è molto più significativo di quanto non sia stato loro riconosciuto e le loro storie sono ancora da raccontare.

 

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