ARTHUR DUQUESNE
Cronaca

Bita: "Io, iraniano, e la mia infanzia di guerra"

L’illustratore vive a Bologna da oltre dieci anni e ha pubblicato la sua autobiografia. "Cecilia Sala? Importante ora parlare di lei"

Il fumettista Madjid Bita vive a Bologna da molti anni: ha appena pubblicato la sua storia in ’Nato in Iran’

Il fumettista Madjid Bita vive a Bologna da molti anni: ha appena pubblicato la sua storia in ’Nato in Iran’

Bologna, 5 gennaio 2025 – Majid Bita è un illustratore e fumettista iraniano che vive a Bologna da più di dieci anni. Nel suo libro ’Nato in Iran’ (ed Canicola) uscito nel 2023, narra la sua infanzia e adolescenza tra guerre e rivoluzioni che hanno ferito il suo Paese. Un racconto personale che rappresenta l’esperienza di milioni di persone della sua generazione e che ha presentato ieri a Modigliana, nel forlivese, dove ha parlato anche della giornalista Cecilia Sala, dal 19 dicembre detenuta nel carcere di Evin, il più feroce dell’Iran. "Ho sentito il bisogno di esprime il mio appoggio a Cecilia con un disegno che ho postato su social – ha detto l’artista nell’occasione – la seguo dal 2022, quando scriveva delle rivolte nel mio Paese: è una giornalista che non ha voltato lo sguardo: quando i miei connazionali avevano bisogno, lei non li ha abbandonati. Ora che vivo la libertà che mi offre l’Italia, sento che è importante parlare di lei".

Perché nel suo libro ha scelto di raccontare la sua gioventù?

"Volevo parlare di sensazioni intime, non fare un libro proprio politico. Il mio scopo era anche di far vedere la mia generazione che, nel 2010, ha voluto partire, restare o combattere. Poi arrivo da un mondo in cui le persone sono disumanizzate in qualche maniera. Vieni dall’Iran, magari senti di più l’esigenza di spiegarti e cambiare stereotipi legati al tuo Paese. In Italia, in un nuovo luogo, mi stavo costruendo un’identità nuova e mi ha aiutato avere un libro in cui mi sono spiegato. In più, arrivato nel 2014 a Bologna, ho seguito il corso di fumetto all’Accademia di Belle Arti, quindi avevo gli strumenti per farlo".

La storia è costruita tra ricordi, sogni e incubi.

"Sono episodi che ho vissuto quando avevo 5-6 anni, quindi le informazioni erano molto ambigue e imprecise. La confusione si sente nel testo come nel disegno, nei tratti, nella sporcizia. Diversi lettori sono rimasti confusi: è ciò che volevo, perché anch’io all’epoca non capivo. È così che un bambino vive queste situazioni di guerra".

Lei disegna il piccolo Majid sotto una pesante coperta...

"Da sotto questa coperta ho visto la tristezza negli occhi dei miei genitori. Ma rappresenta anche l’eredità storica e artistica del mio paese. Un’eredità pesante, come quando sono arrivato in Italia. Mi hanno detto spesso ’ma non disegni come un iraniano’. Oppure ’non ti comporti come un iraniano’".

Spesso il protagonista non riesce a muoversi.

"Rappresenta l’angoscia che tocca a tutti gli iraniani. Siamo sempre in mezzo a movimenti, a volte all’avanguardia, che non arrivano mai a un sistema stabile. A volte perdiamo i diritti ottenuti, come nel 1979. Dopo le manifestazioni del 2010, represse con la violenza, sono partito con un’angoscia che mi è rimasta per anni. Tante persone si sono tolte la vita. Da piccoli, siamo costretti a fare scelte che cambiano la vita. La libertà la puoi ottenere, ma perdi tante cose".

Quali tecniche ha usato per disegnare?

"È un mix tra disegno, fotografia e xilografia. Una persona che non conosco, la disegno in un modo realistico, come i manifestanti ’importanti’. Invece nella mia famiglia, hanno tutti questi occhi neri. Traducono il dolore profondo. Una volta, un ragazzo mi ha detto che questi occhi gli ricordavano quelli di sua madre, sopravvissuta alla guerra di Bosnia".

Qual’è il suo rapporto con l’Italia?

"Ho sempre sentito parlare dell’Italia. I miei genitori ci hanno vissuto negli Anni ’70 per studiare arte. Dopo il 1979, in un contesto di censura, trovavo a casa i libri che avevano portato i miei. Mi piaceva molto Natalia Ginzburg, il suo modo di raccontare la sua gioventù, di trasformare la tragedia in ironia per sopravvivere, e Fellini, per il lato magico del suo cinema. Poi il calcio italiano mi ha fatto sognare, come la finale del ’94, o quella del 2006. In famiglia davanti la TV, eravamo tutti per l’Italia".