Bologna, crac Seci: il conto ai Maccaferri: 322 milioni di danni

La richiesta dei curatori fallimentari agli ammininistratori del gruppo. Al centro il bond legato al ’Sigaro Toscano’ e i 57 milioni a Sei

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Un anno fa il fallimento (era il 5 luglio 2021, giorno in cui venne depositata la sentenza del tribunale poi confermata a novembre in Appello), ora ecco il conto dei curatori agli ex amministratori e sindaci di Seci, holding del gruppo Maccaferri, per il crac con una lettera di messa in mora (inviata a maggio) rivolta a 13 persone. Centinaia di milioni di euro – 322 per l’esattezza – come risarcimento del danno, risultato del lavoro del professor Antonio Rossi, della presidente dell’Ordine dei commercialisti Enrica Piacquaddio e del collega Claudio Solferini, i quali hanno passato al setaccio i conti dell’ex colosso ’Società esercizi commerciali industriali’.

Secondo i tecnici del tribunale, come già ribadito nell’inchiesta aperta due anni fa dalla Procura per il fallimento, da tempo la difficile situazione economica della holding era ben chiara ma si è voluto andare avanti – qui la responsabilità attribuita ad amministratori e sindaci – attraverso «operazioni straordinarie» che nulla hanno potuto. Anzi, avrebbero peggiorato la situazione. Un dato. Il patrimonio netto della holding, come è stato sottolineato dai giudici di secondo grado durante la conferma del fallimento, «negativo per 119 milioni al 30 settembre 2019», sarebbe sprofondato «a meno 223 milioni ante rettifiche al 27 marzo 2020 (e a meno 474 milioni dopo le rettifiche conseguenti al piano)».

Una situazione «di insolvenza irreversibile», quella di Seci, un «grave stato di dissesto finanziario», un patrimonio netto – secondo il procuratore capo Giuseppe Amato, l’aggiunto Francesco Caleca e il sostituto procuratore Nicola Scalabrini – «negativo di oltre 65 milioni» già al 31 dicembre 2018, «sebbene nelle premesse del ricorso del 31 maggio 2019 la società facesse semplicemente riferimento a uno ’stato di tensione finanziaria’». Via via il peggioramento con un patrimonio netto negativo, nel 2019, di 119.7 milioni, indice di «un gravissimo deficit». Poche speranze pure da quei 197 milioni di crediti attivi vantati però «quasi esclusivamente verso proprie controllate» e «collegate». Crediti, dunque, «di impossibile realizzo».

Tra le operazioni ’straordinarie’ messe in campo per cercare di tenere in piedi quel castello dai piedi d’argilla, che ora tirano in ballo i curatori fallimentari, ci sono l’operazione da 57 milioni legata al trasferimento di una serie di asset immobiliari e partecipativi in favore della neocostituita Sei, e il bond da 90 milioni legato al Sigaro Toscano.

Seci era stata ammessa al concordato preventivo e aveva chiesto tempo per presentare una proposta e un piano concordatario. Proroga concessa, con termine ultimo per la consegna il 3 gennaio 2020, ma a quella data non venne depositato «alcun piano di adempimento» nè una «proposta». Da qui la dichiarazione sull’inammissibilità del ricorso per concordato preventivo e la conseguente decisione dei magistrati di chiederne il fallimento. Poi arrivato. Ora ecco la richiesta danni.

n.b.

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