Bubu Doc da calciatore a rapper: "Ho perso una gamba, do voce ai malati" / VIDEO

Enrico, 21 anni, colpito da osteosarcoma, è stato operato al Rizzoli: "Canto per chi ha sofferto come me. Il mio angelo è il dottor Errani"

Bologna, 19 gennaio 2021 - Enrico a diciotto anni giocava a calcio, era ‘il Balotelli’ della Progresso, così lo chiamavano, e non vedeva altro che il pallone. Poi un incidente in allenamento, il dolore alla coscia e quella lastra che ha cambiato la sua vita. "Mi è crollato il mondo addosso quando ho saputo di avere un tumore, un osteosarcoma. Ho subito tredici cicli di chemioterapia e ho sperato di risolvere con una protesi interna, ma il tumore saliva... Così, non ho più la gamba destra e ho avuto un periodo durissimo, ma sono credente e so che quando si chiude una porta Dio ti riserva un piano B che sarà molto più bello. Questa sarà la mia rivincita".

Ed ecco, dopo l’operazione al Rizzoli, la seconda vita di Enrico Abumhere, Bubu doc, "un soprannome affibiatomi dagli amici": a 21 anni ha dato un calcio alla malattia e ha ricominciato da capo e ha deciso di fare il rapper, la musica, infatti, era l’altra sua grande passione, ed è diventato un riferimento per tanti ragazzi che "hanno sofferto come me e che ora mi scrivono e io sono la loro voce" e per molti giovani del suo quartiere. Ma adesso i confini si allargano ogni giorno di più grazie alle note e al web.

Il giorno del suo compleanno, il 14 novembre, si è fatto un grande regalo. "È uscita la mia canzone ’Enrico’ che sta sfiorando le 200mila visualizzazioni". Il video su YouTube è ambientato in zona Massarenti, dove abita, e non lascia senza emozioni chi lo guarda. Lì c’è tutta la sua storia, gridata al mondo: "Ospedale Rizzoli, ospedale Maggiore, ci ho passato un anno, mica solo due ore" è uno dei passaggi più ripetuti. Lo canta anche seduto dentro un’ambulanza. E poi c’è il ricordo di "mamma che piangeva", ma adesso "il dolore non può più farmi male" e intanto con coraggio mostra la protesi. La canzone è dedicata "a tutti i ragazzi che hanno sofferto come me e sono negli ospedali, vi voglio bene".

E così Enrico segna il suo gol più bello. "Ogni problema deve essere affrontato, nessuno può fermare la tua volontà – sottolinea il ragazzo, nato da genitori di origine nigeriana – e per questo quando ci siamo trasferiti in Inghilterra, a Manchester, dove mio padre vedeva un futuro migliore per me i miei quattro fratelli, ho resistito solo tre mesi. Poi non ce l’ho fatta più e ho deciso di tornare da solo a Bologna, dove ci sono i miei amici, diventati la mia famiglia. Mi mancavano loro, il cibo, la città e anche la musica e le serate trascorse nel parco di via Rimesse, dove cantavo sempre. Prima era un hobby, ma adesso che scrivo i testi e la musica, vorrei che diventasse qualcosa di più".

Enrico ha vicino anche un "angelo, la prima persona che mi ha accolto bene", come dice lui: è Costantino Errani, 47 anni, il chirurgo della terza clinica del Rizzoli a cui è toccato un compito davvero delicato. "Ricordo ancora quando sono entrato nella camera dove Enrico era ricoverato per comunicargli che non potevamo salvargli la gamba – spiega lo specialista –. Non è stato facile, c’erano tutti i suoi familiari e la commozione era tanta".

Adesso sono passati tre anni e il chirurgo segue i controlli periodici di Enrico, "ora cammina aiutandosi con una stampella, qualche volta anche senza, e presto avrà una nuova protesi perché è cresciuto".

Il medico vigila sulla sua vita ed è in contatto costante con il suo paziente: "Le mie figlie sentono la sua musica, anche io guardo i suoi video con ammirazione e la storia di Enrico ci insegna che si può sempre ricominciare. Lui e i ragazzi colpiti dalla sua stessa malattia rara, in Italia sono poco più di cento all’anno, sono degli eroi, capaci di sopportare la chemioterapia e una chirurgia che quasi sempre diventa molto invasiva, perché sanno combattere e vincere contro la malattia e continuare a inseguire i loro sogni, realizzandosi nella vita. Sono loro che contribuiscono a rendere ancora più bello il nostro lavoro".

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