Bucci: "All’Arena la mia visione di Grossman"

L’attrice è protagonista della trasposizione del romanzo ’Caduto fuori dal tempo’: "Saremo due attori per tutti i personaggi"

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di Claudio Cumani

Ma anche lei ha un fan club? Elena Bucci, protagonista pluripremiata della scena teatrale più colta, ride: "In effetti sì. E’ stato creato diversi anni fa in rete e si sta rivelando, in un momento di crisi come questo, uno strumento di comunicazione e riflessione importante. Comunque, anche se Facebook può essere divertente, sviluppare la socialità dal vivo resta fondamentale". E dal vivo Bucci nei prossimi mesi porterà numerosissime creazioni, da ‘Bimba’ dedicato a Laura Betti al Ravenna Festival a ‘Due regine’ con Chiara Muti al festival di Pompei, fino a ‘Risate di gioia’ incentrato sul mestiere dell’attore al debutto autunnale all’Arena del Sole. Proprio all’Arena, da domani a domenica, va intanto in scena ‘Caduto fuori dal tempo’, raffinatissima trasposizione teatrale del romanzo di David Grossman curata e interpretata appunto da lei e da Marco Sgrosso. Con loro in scena c’è il fisarmonicista Simone Zanchini, per rileggere quest’opera toccante che parla della perdita di un figlio e del dolore che resta. Un romanzo che l’autore israeliano ha scritto nel 2010, quattro anni dopo la morte del secondogenito sul fronte libanese.

Come si può portare in teatro una poetica così personale e universale al tempo stesso?

"Credo che l’elaborazione del lutto attraverso un atto artistico come la scrittura, il teatro o la musica possieda una funzione catartica. L’ho sperimentato in passato affrontando il personaggio di Antigone. Parlare poi di morte in guerra in questi mesi è ancora più atroce. Ho pensato che tutti i personaggi del romanzo potessero essere declinati da due soli attori per creare una dimensione intima, silente, visionaria, colorata. Grossman è stato d’accordo e ha capito l’enorme rispetto che abbiamo avuto verso il sentimento della compassione".

Come mai il teatro ricorre sempre più spesso alla letteratura?

"Forse perché la letteratura permette una libertà più ampia, forse perché c’è il desiderio di una scrittura diversa e più complessa o forse perché non siamo in contatto con nuove drammaturgie. Per me i libri e i testi teatrali rientrano in unico grande mondo da cui è possibile attingere. Del resto uno dei miei primi spettacoli fu proprio ‘L’idiota’ di Dostoevskij".

Era abituale lettrice di Grossman prima di questo allestimento?

"Sì, conoscevo i suoi romanzi. Portare in scena uno scrittore significa aprire un orizzonte e cioé accogliere illuminazioni rispettando le sue poetiche. Sul palco ci sono una città costruita su parole antiche, personaggi fiabeschi di tempi diversi, uno scriba che raccoglie storie di genitori che hanno perso i figli, uno spazio fra veglia e sonno. Inizialmente ero terrorizzata dall’idea di ridurre il testo, ma alla fine è emersa una grande epopea nella quale tutti i personaggi hanno voce anche se solo evocati".

In un periodo teatralmente non facile, lei continua a sviluppare progetti su progetti?

"Per me è un anno di grande impegno nel quale tra l’altro ho riproposto tutti i miei monologhi, a partire da ‘Nella lingua e nella spada’ dedicato ad Oriana Fallaci. Al di là degli spettacoli, sto pensando ad un lavoro con gli attori della scuola Ert dedicato ai testi e al percorso di Giuliano Scabia e a un progetto regionale intitolato ‘La macchina del tempo’ incentrato sulla raccolta di materiali e testimonianze dei grandi attori del recente passato".

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