Cesare Sughi
Cronaca

Bullismo mafioso

Bologna, 13 febbraio 2015 - Ho visto anche bulli innocui. E persino divertenti. Come mio cugino Oscar, detto Ninni, che da giovane si presentava ogni domenica a casa nostra, a salutarci, e vantava immancabilmente davanti alla famiglia le sue ultime gesta amatorie, accompagnate da espliciti gesti descrittivi. Niente di pericoloso né di truce. Come, per ricordare esempi famosi, c’è solo da ridere o da sorridere davanti alla macchietta romanesca di Giggi er Bullo, smargiasso e vile, inventato da Petrolini, o rivedendo ‘Bulli e pupe’, il musical divenuto un film di successo con Marlon Brando nel ’55.

Insomma, la parola non la scopriamo adesso (come non citare il pessimo Franti del ‘Cuore’ o, al contrario, le esperienze straordinarie di Carrie, la ragazzina di Stephen King dai poteri paranormali?). E poiché non si tratta qui di svolgere un’analisi sociologica, aggiungo subito che da quel vocabolo originario è nata la sua degenerazione: bullismo. Non un carattere individuale, ma un comportamento diffuso tra gli adolescenti maschi e femmine, nelle scuole e fuori, nei gruppi. Se il bullo era una figura singola, il bullismo è un sistema. Non dico, perché non paia un elogio, uno stile di vita. Dico invece che, anche a Bologna, da tempo, assistiamo come impotenti all’esibizione del rapporto squilibrato, e quindi di per sè violento, dei bulli e delle bulle nei confronti di compagni più deboli. Gli storici ci spiegherebbero che la svolta scoccò nell’Italia sbandata del dopoguerra (i borgatari di Pasolini).

Ma la sopraffazione fisica e psicologica, la persecuzione ripetuta della vittima, le minacce via web o cellulare, sono qui, sotto i nostri occhi di cybernauti. Il bullo è un vessatore concreto, professionale, non uno spaccone petroliniano, inoffensivo, un assalitore che scatta solo avendo dinanzi una platea plaudente.Per farmi capire, e per svegliare sia le famiglie distratte sia i ragazzi e le ragazze maledettamente sedotti dal tiranno, dico che il bullismo è un classico comportamento mafioso. Il pizzo che esige è la sottomissione e l’omertà della vittima. Non denunciare, non far sapere a casa: io ti tormenterò finché vorrò. Conoscete una relazione distorta e malvagia con l’altro parimenti organizzata? Trovate differenze, voi mamme e papà timorati, con le tecniche della mafia?

Per questo è deplorevole la tendenza a coprire, a non dare tanta pubblicità alla turpitudine delle bravate, per rispetto dell’età dei protagonisti e per difesa dell’onorabilità di quella certa scuola. Ciò che il bullismo vuole. E invece, come si farebbe con un mafioso, il primo contrasto è isolare il mariuolo. Mica – secondo lo straparlare di qualche adulto – metterlo in cella e buttare per un bel po’ la chiave. No, isolarlo dalla comunità degli altri ragazzi, emarginarlo alla prima mossa sbagliata – non espellerlo, guai, non bollarlo come un diverso –, ma comunicargli, con la nettezza dei giovanissimi – che o cambia o è persona non gradita, in minoranza, senza amici. Togliendogli quel pubblico, quegli spettatori maledettamente estasiati dalla sua potenza e prepotenza, dal suo spregio del mondo, dal suo ergersi a superuomo invincibile. 

Facile questo isolamento? Per niente, anche perché richiederebbe una coesione tra scuola, famiglie, alunni e – se del caso – forze dell’ordine che vedo poco. Altre strade non ci sono. Afferma Fùcur, il drago della fortuna, rivolgendosi ai piccoli protagonisti della magica ‘Storia infinita’ di Ende: «Per ogni veleno c’è il suo antidoto». Banalità solo apparente. Perché quando Bastian, il ragazzino triste del romanzo, angariato da tre bulli, li batte proprio con l’aiuto dell’amico drago, il lettore forse capirà il da farsi. Il bullismo si allarga. Figuriamoci se ha bisogno di complici o conniventi. A Bologna, poi.