Bullismo a Bologna, l'esperta: "Vanno rieducati alla socialità"

La riflessione della presidente del Tribunale per i minorenni Gabriella Tomai sull’aumento di reati commessi da giovanissimi

La presidente del Tribunale dei Minori Gabriella Tomai, insediatasi a febbraio a Bologna

La presidente del Tribunale dei Minori Gabriella Tomai, insediatasi a febbraio a Bologna

Bologna, 8 giugno 2022 - "I numeri da soli non fanno scuola. Il vero problema è capire come va letto il fenomeno della criminalità minorile". Un’analisi che è imprescindibile per la presidente Gabriella Tomai, arrivata a febbraio a Bologna alla guida del Tribunale per i minori.

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Presidente, il bilancio annuale dell’Arma dei carabinieri parla di un aumento del 55% dei reati commessi da minori in provincia, mentre all’inaugurazione dell’anno giudiziario è emerso come Bologna sia in testa, nella classifica nazionale, per lo stesso fenomeno.

"È vero, di lavoro ce n’è moltissimo, le segnalazioni della Procura dei minori sono tantissime. Molti sono fatti anche gravi, ma tanti dei procedimenti avviati davanti al tribunale dei minori riguardano questioni di piccolo cabotaggio, che raccontano il malessere e l’incapacità di rapportarsi di questi ragazzi. Che sono autori dei reati, ma anche vittime di loro stessi e come tali vanno aiutati a recuperare la capacità di parlare, di integrarsi nella società. E questo è un progetto in cui vorrei coinvolgere Bologna. Va detto, anche, che le denunce sono aumentate perché è aumentata la sensibilità. Oggi si denuncia molto di più rispetto al passato".

È notizia di ieri la denuncia, da parte dei carabinieri, di quattro ragazzini tra i 12 e i 13 anni, auto ri di vessazioni nei confronti dei compagni di scuola. Avendo meno di 14 anni non sono imputabili. Cosa si fa in questi casi?

"Chi non ha ancora compiuto 14 anni non è imputabile. In questi casi si emette sentenza di non luogo a procedere. Tuttavia, vengono svolti accertamenti sulle condizioni famigliari del minore, per attivare i necessari strumenti di controllo della responsabilità genitoriale e anche interventi di supporto alla socializzazione dei ragazzi. Gli strumenti sono tanti, e presuppongono l’interazione con i servizi sociali. Va detto comunque che anche per chi ha superato quell’età, entro i 18 anni, prima di avviare un processo deve esserne accertata l’imputabilità, va appurato se il ragazzo abbia compiuto quel percorso formativo che gli permette di comprendere il senso delle proprie azioni".

Molti dei ragazzini che si macchiano di reati sono di seconda generazione. Pensa che la causa possa trovarsi nella mancata integrazione?

"Non ne faccio un problema di provenienza. La questione è invece sociale. La ragione dei comportamenti sbagliati di questi ragazzi va scavata a fondo, nascosta in tanti fattori: una famiglia assente, una scuola che non percepisce i segnali di disagio, un’infanzia abbandonata o il senso di solitudine. Siamo noi adulti a dover aiutare i ragazzi a trovare il loro spazio. Dov’è il controllo sociale? Qual è il ruolo di scuole, parrocchie, centri di aggregazione? Perché, prima dello scoppio dell’aggressività, dei segnali sono stati lanciati".

La risposta, quindi, deve essere un aiuto corale, collettivo?

"Nei casi dei reati commessi da minori la condanna deve essere sempre l’extrema ratio. Da parte nostra, la prima azione è di prevenzione, con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Un lavoro educativo e rieducativo, che noi svolgiamo con l’Usm (Ufficio servizi sociali per i minorenni), che accompagna i ragazzi verso il processo, che diventa esso stesso un’occasione educativa. Inoltre si può avviare la mediazione penale, un percorso, guidato da mediatori, nel quale autore e vittima del reato si confrontano. Un iter teso a sviluppare la consapevolezza delle proprie azioni, degli effetti che portano".

Crede che la pandemia abbia influito rispetto all’aumento di casi di violenza giovanile?

"Penso di sì. Dovevamo aspettarci, dopo due anni di costrizione, che la situazione esplodesse, come una pentola a pressione. Penso anche che siamo di fronte a molti casi di reati commessi da giovanissimi perché è proprio durante la prima adolescenza che si sviluppa l’empatia. Questi ragazzi che oggi hanno 13, 14 anni, sono stati privati di un momento formativo fondamentale. Sono come ripetenti, che vanno aiutati ad apprendere la lezione della socialità".

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