C’è un ’Paziente 0’ anche tra i robot

Lo scultore-vigile del fuoco Michele Zaniboni crea automi con materiali di recupero. "E in questo periodo anche il virus mi ha ispirato"

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di Benedetta Cucci

Michele Zaniboni è il papà di tanti robottini, diventati ormai habitué di mostre e gallerie. In verità la sua vità è quella di vigile del fuoco – è stato anche insignito di medaglia d’oro per una coraggiosa opera di soccorso – ma la vocazione al salvataggio anche nei confronti dell’ambiente, l’ha portato a riciclare materiali di scarto cui dona un volto nuovo, una storia e un futuro. Cinque anni fa ha avuto un’illuminazione riflessa in un rottame ed è partita quella vena artistica che lo accompagna ogni giorno in questo regno del riuso creativo. Anche in questo tempo di crisi da Coronavirus continua a progettare cercando di scacciare lo stress, ma l’arte non mente e trasfigura l’ansia in bellezza.

Qualche idea in tempo di crisi?

"Ho costruito un robottino che ho poi chiamato Paziente 0".

Difficile essere immuni, il virus entra anche nell’arte.

"È chiaro che non si può fare finta di niente, l’ansia è nell’aria, la nostra vita è cambiata, però non ho pensato di fare un monumento al Coronavirus. Nel momento in cui ho finito di assemblare i vari pezzi, l’ho guardato e mi sono detto: questo è il paziente zero. Con quella faccia allibita era lui".

Con quali rottami è assemblato il ’paziente 0’?

"Due tergicristallo di una vecchia autoscala di pompieri, la testa è fatta con un copribombola di sicurezza che viene solitamente avvitato sulle bombole di acetilene di ossigeno per proteggere la valvola, il mento è fatto con un pezzo di lampadario e le braccia sono due fermi da porta, da spioncino. È alto circa 40 centimetri, come gli altri robot".

Perché ha pensato al ’paziente zero’?

"Sto scrivendo la sua storia, lo faccio con tutte le mie creazioni, cui do un nome, un numero e una narrazione".

Ce lo descriva.

"Incredulo nel mondo che lo guarda, scettico sul futuro remoto, stupefatto dagli eventi, si vanta di essere il numero uno... Con questo intendo che è inconsapevolmente felice di essere il primo in qualcosa, non gli è mai successo...".

Lei ha il laboratorio in casa?

"Non è che ho il laboratorio in casa, la mia casa è piena di oggetti trovati, rottami. 130 metri quadrati di casa e il salone pieno, l’officina è la mia camera da letto".

Dove recupera il materiale?

"In giro e lo tengo da parte, perché penso che potrebbe sempre servirmi, ci vedo qualcosa. Questo fenomeno si chiama pareidolia, un’illusione ottica che ti fa vedere delle cose che in realtà non esistono. Un esempio è la macchia sul muro che suggerisce una faccia, ma a vederla sei solo tu".

Da quanto tempo riesce a vedere ciò che non c’è?

"Da cinque anni. Ero in caserma, nel container dei rottami ferrosi e ho visto una valvola che sembrava una testa con due occhi. Ho pensato che avrei aggiunto due braccia e un corpo".

Come vive la ’reclusione’?

"Non ho problemi, ho tanto di quel materiale che potrei restare rinchiuso in casa fino al prossimo dicembre. Sono molto impegnato, in casa ci sto bene perché ho il mio mondo, tanto materiale, e credo che questo momento, se si sta bene e si è a casa, si dovrebbe sfruttare per dedicarsi a qualcosa che non si è mai fatto prima".

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