Bologna, regista "calunniò Vasco Rossi". Ma la Cassazione: "Reato prescritto"

Stafano Salvati era stato condannato a due anni. La Suprema corte ha però confermato un risarcimento 'simbolico' di 10mila euro a favore del rocker

Vasco Rossi durante uno dei concerti di quest'estate

Vasco Rossi durante uno dei concerti di quest'estate

Bologna, 22 settembre 2022 - La Corte di Cassazione ha dichiarato prescritta l'accusa di calunnia da parte del regista bolognese Stefano Salvati ai danni del rocker Vasco Rossi. Rimane salvo però il diritto del Blasco a essere risarcito per 10mila euro, cifra 'amichevolmente' concordata in appello. Di mezzo ci si è messa anche la lentezza della giustizia: estinto il reato per il quale era stata emessa a carico dell'imputato la condanna a due anni di reclusione, pena sospesa. 

L'accordo "tarocco"

Il rocker di Zocca aveva portato a processo Salvati dopo che questo, a sua volta, aveva perso la causa intentata, per truffa e falso, contro il cantante, da cui pretendeva 200mila euro all’anno, fino alla cifra di 6 milioni, in base a una ‘clausola di riservatezza’ riportata su un contratto rivelatosi falso. La difesa di Vasco Rossi, costituitasi parte civile davanti alla Suprema Corte e rappresentato dall'avvocato Guido Magnisi, ha ottenuto infatti la definitiva declaratoria di falsità del documento 'taroccato' denominato "accordo di riservatezza" sottoposto a sequestro nel luglio del 2014, alla vigilia del suo tour in Puglia, nel quale il cantante di Zocca, secondo quanto sostenuto da Salvati, si sarebbe impegnato a riconoscergli un compenso di 200mila euro l'anno per 30 anni, in cambio di nessun tipo di prestazione lavorativa.

Ad avviso della Suprema Corte già i giudici di appello di Bologna "hanno tutt'altro che illogicamente valorizzato" il fatto che "Vasco Rossi non aveva alcun motivo di stabilire con Salvati un rapporto diverso da quello intercorrente con gli altri collaboratori, al punto di riconoscergli un compenso di ben euro 200mila ogni anno per trenta anni, a fronte della gratuità di tutti gli altri accordi di riservatezza, in assenza di qualsivoglia menzione delle ragioni specifiche che avrebbero potuto giustificare quella rilevante differenza, cioè il progetto, neppure abbozzato, incentrato sulla realizzazione di una biografia. Fermo restando - prosegue la sentenza - che i giudici di merito hanno escluso che un impegno economico così rilevante potesse essere assunto dal cantante ad insaputa dello studio legale di fiducia cui si rivolgeva costantemente, per giunta in una fase in cui Vasco Rossi aveva in animo di far scadere a settembre anzichè a dicembre di quell'anno il rapporto di prova con Salvati, rapporto che a quella scadenza non sarebbe poi stato rinnovato in ragione di criticità maggiormente evidenziatesi nel prosieguo".

La prescrizione

Con questa decisione, la Cassazione ha confermato la ricostruzione della vicenda realizzata dalla Corte di Appello di Bologna con sentenza del 9 settembre 2021, che convalidava il giudizio di primo grado del 24 maggio 2017, ma ha annullato senza rinvio il verdetto di secondo grado "agli effetti penali perchè il reato è estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili e la declaratoria di falsità". È stato Salvati a fare ricorso agli 'ermellini' contestando la condanna e sostenendo che non era una prova di colpevolezza che l'accordo 'tarocco' che lo 'beneficiava' fosse diverso da quello firmato dagli altri collaboratori del cantante di Zocca, e che non era una 'traccià di falsità il fatto che le prime due pagine erano state stampate da una stampante diversa da quella che aveva stampato la terza pagina sottoscritta con firma. La Cassazione lo ha condannato a pagare 5mila euro di spese legali in favore della difesa del rocker.

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