
Biagio Carabellò potrebbe essersi tolto la vita. E mancano gli elementi per indicare la sua morte come violenta e accusare del fatto la ex vicina Simona Volpe e il coinquilino Athos Scaramuzza. Parla chiaro la richiesta di archiviazione della pm Elena Caruso sul caso del quarantaseienne scomparso nel 2015 e ritrovato senza vita a marzo 2021: nonostante le nuove indagini, "gli elementi acquisiti non hanno consentito, ancora una volta, di raggiungere un quadro probatorio sufficiente" ad accusare di omicidio Volpe e Scaramuzza. Non si può neppure affermare con certezza che Biagio sia stato ucciso. Certo, Volpe aveva un "importante movente patrimoniale" – mantenere l’eredità di cui si era impossessata falsificando il testamento della fidanzata di Biagio, morta nel 2010, fatti per cui fu condannata – e tentò di "depistare" le indagini dopo la scomparsa dell’uomo; e Athos disse alla sua ex di avere "sognato" che Biagio era stato "portato in una discarica", luogo in cui in effetti è poi stato ritrovato il corpo, l’anno scorso. Ciò non basta però ad accusarli di omicidio.
Esiti negativi hanno avuto poi le analisi sul cellulare trovato vicino allo scheletro di Biagio e le intercettazioni a indagati e altri informati dei fatti. In più, se gli accertamenti sul cadavere non hanno potuto giungere "a conclusioni certe sulle cause della morte", le indagini tossicologiche hanno chiarito come il quarantaseienne "alla morte avesse da poco assunto eroina, lorazepam e ketamina", con "concentrazioni idonee a determinare un’intossicazione acuta". Insomma, "non si consente di escludere del tutto l’ipotesi suicidaria".
"Una richiesta che rispecchia la completa estraneità del mio assistito alla scomparsa del coinquilino – commenta l’avvocato Marco Sciascio, per Scaramuzza –. Abbiamo sempre avuto fiducia nel lavoro della Procura". Ma la famiglia Carabellò, con gli avvocati Francesco Antonio Maisano e Barbara Iannuccelli, ha già promesso di impugnarla.
f. o.
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