Bologna, rimane in carcere 4 mesi. "Ma è un errore"

Accusato di aver dato droga a un uomo, poi morto. La difesa: "Il pusher non era lui". Il giudice lo libera

L'uomo è stato in carcere 4 mesi (foto d'archivio)

L'uomo è stato in carcere 4 mesi (foto d'archivio)

Bologna, 20 ottobre 2019 - Tre mesi e 22 giorni di carcere per aver ceduto droga poi risultata letale a uno dei suoi clienti. Morte come conseguenza di altro reato, ovvero lo spaccio di eroina e cocaina. Ma oggi, contro Stanley Osebhajemen, nigeriano classe 1991, con un processo già fissato per gennaio, non vi sarebbero elementi per provare la sua colpevolezza, tanto che lunedì il gip Alberto Gamberini ne ha disposto l’immediata liberazione. «Un’ingiusta detenzione», grida il 28enne difeso dall’avvocato Pina Di Credico, che potrebbe essere pronto, in un prossimo futuro, a chiedere i danni.

Tutto risale ad agosto 2018, quando viene trovato morto G.P. in una casa del centro di Bologna. Overdose. Secondo il medico legale, il decesso sarebbe avvenuto tra l’11 e il 13. A trovarlo cadavere fu il suo coinquilino che parlò di un mix letale, eroina e cocaina, in un corpo (di G.P.) già provato dalla droga. E quella sostanza da dove sarebbe arrivata? L’amico raccontò che da più di un anno il pusher suo e della vittima rispondeva al numero ‘347’, aggiungendo però di non conoscerlo. Ci penserà l’indagine a trasformare le cifre in un volto: un giovane residente a Parma con la moglie. Appunto Stanley Osebhajemen, che verrà arrestato il 24 giugno di quest’anno per avere ceduto – scrive la Procura – droga a G.P. in più occasioni ad agosto 2018 e, in conseguenza, determinato la morte». Conseguenza «non voluta, ma prevedibile per lo stato di tossicodipendente».

Il 20 settembre arriva la notifica del giudizio immediato al quale però l’avvocato Di Credico si oppone. E i motivi, che proverebbero l’estraneità del suo assistito, sarebbero diversi. Primo: «Per buona parte del 2018, l’imputato soggiornava in Svizzera e in Francia con la moglie, dunque non era sicuramente in Italia». Soprattutto il giorno della morte di G.P.. Poi quel 347, un numero diverso da quello usato da Osebhajemen, un 327 iniziale. «Ma non si è provveduto – continua il legale nell’atto – a verificare se il 347 sia ancora attivo nè chi fosse il reale utilizzatore». Il resto lo ha scritto sei giorni fa il gip Gamberini: «Nessuna certezza circa la riconducibilità dell’utenza 347 esclusivamente all’attuale imputato», il quale poi «risulta aver risieduto in Svizzera ad agosto 2018». Libero. A gennaio il processo, in caso di assoluzione sarà pronto a chiedere i danni.

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