NICOLETTA TEMPERA
Cronaca

Castel Maggiore, tutti i punti oscuri: "I carabinieri identificarono i Savi"

Nell’esposto dei famigliari delle vittime vengono messi in ordine tutti gli elementi che non tornano. Erriu e Stasi avrebbero controllato due giorni prima i due killer: ma il foglio di servizio non si è più trovato.

Alle 22,15 del 20 aprile del 1988, in via Gramsci a Castel Maggiore, una raffica di colpi massacra i giovani carabinieri Umberto Erriu e Cataldo Stasi. Venire a capo ai troppi misteri non esplorati dietro questa carneficina (nella foto), così come a quelli dietro alla strage del Pilastro, dove furono tre i carabinieri trucidati, e all’assalto all’armeria di via Volturno, con due vittime, tra cui un ex militare dell’Arma, è centrale per definire, una volta per tutte, la verità dietro la banda della Uno Bianca.

"Troppe questioni sono state tralasciate durante le precedenti indagini. Non sta a me dire se per dolo o superficialità", dice Alessandro Stefanini, fratello del carabiniere Otello, ucciso in via Casini il 4 gennaio del 1991. Questioni che vengono riepilogate nel lungo esposto che è l’ossatura della nuova inchiesta su quegli anni di sangue. Tralasciando il ruolo dell’ex carabiniere Domenico Macauda, che depistò le indagini su Castel Maggiore per un motivo che non è mai stato chiarito e su cui oggi si chiede di investigare ancora, ci sono troppi aspetti di quella sera che, per gli estensori dell’esposto, non tornano. Prima di tutto, per quella strage, furono ritenuti responsabili solo Fabio e Roberto Savi. Eppure, diversi testimoni oculari parlarono di una terza persona, seduta sul sedile posteriore della Uno. Non solo. I punti in cui i militari e la loro auto sono stati raggiunti parlerebbero di tre punti di fuoco diversi. E ancora. Gli stessi Savi avevano spiegato che ai sopralluoghi aveva partecipato anche Marino Occhipinti, che quella sera, però, non c’era. Quindi, l’azione era stata studiata prevedendo il coinvolgimento di una terza persona. E anche i tempi non tornano.

"Non ci trattenevamo mai nella zona più di tanto per non essere notati", metteva a verbale Roberto Savi il 28 novembre 1994. I Savi hanno sempre raccontato che i carabinieri furono ‘un danno collaterale’, perché il loro obiettivo era un portavalori. Eppure, se fossero davvero stati lì per il furgone, che transitava alle 21, sarebbero dovuti essere sul posto alle 20,30. Ma attendere quasi due ore per un colpo non era nello stile della banda. Che dunque sarebbe stata lì proprio per i due giovani carabinieri.

Ma perché? Sempre stando a quanto ricostruito nell’esposto, i due militari avrebbero identificato i due killer in un controllo due giorni prima. Ma di questo fatto non c’è traccia: come accaduto per il Pilastro, i loro fogli di servizio, relativi al 18 e 19 aprile, sono scomparsi. Tra l’altro, Stasi quella sera non doveva lavorare. Fu richiamato dalla licenza per sostituire un collega. Sempre i testimoni dicono di aver visto la pattuglia prima che partisse per via Gramsci e di aver notato un carabiniere rispondere alla radio, per poi sfrecciare con i segnali luminosi accesi. Anche di questa comunicazione non resta traccia. Nessun militare in servizio quella sera l’ha sentita. Forse perché non era transitata sul canale comune a tutte le pattuglie. E allora chi aveva dato loro l’ordine di andare in via Gramsci? Chi li aveva autorizzati ad accendere i lampeggianti? Domande che in 37 anni non hanno trovato risposta. Alimentando, ancora di più, l’idea che i poveri Stasi ed Erriu siano caduti in un agguato. Coperto da chi voleva proteggere i Savi.