Castenaso, donna a processo. "Ha lasciato morire la madre"

La 45enne è accusata di abbandono d’incapace. Alla sbarra anche un medico

CORTE D’ASSISE Il pubblico ministero Francesco Caleca,  titolare dell’inchiesta, sostiene l’accusa nel processo

CORTE D’ASSISE Il pubblico ministero Francesco Caleca, titolare dell’inchiesta, sostiene l’accusa nel processo

Castenaso, 11 gennaio 2019 - Quando il medico del 118 entrò in casa, a Castenaso, la trovò a terra, priva di vita e senza nessun segno di violenza. A chiamare i soccorsi era stata la figlia della 71enne, che viveva con lei. Una morte naturale, fu scritto nel referto di quell’intervento del 25 gennaio 2013. Ma adesso alla sbarra, davanti alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Michele Leoni, si ritrovano entrambe: la figlia 45enne della deceduta, accusata di abbandono di persona incapace cui è seguita la morte e la dottoressa del pronto soccorso, che deve rispondere di omissione di referto all’autorità giudiziaria. A far partire le indagini dei carabinieri, coordinati dal pm Francesco Caleca, fu proprio un dettaglio del referto arrivato all’obitorio, che per l’accusa avrebbe dovuto convincere il medico del 118 a segnalare il caso in procura, "donna assistita a terra".

Dall’inchiesta dei militari emerse, infatti, che la 71enne era caduta in bagno una settimana prima del decesso, rompendosi il femore sinistro come riscontrato dall’autopsia. Ma per tutti quei giorni avrebbe convinto la figlia a non chiamare né medici, né ambulanza, salvo riuscire solo a trascinarla dal pavimento del bagno alla camera da letto. Di questa circostanza, secondo l’accusa, fu informata subito dalla figlia proprio la dottoressa del 118 intervenuta sul posto, che poi stilò la constatazione di decesso. Un’omissione, questa, grave secondo la procura tanto da iscrivere la donna (difesa dall’avvocato Filippo Piero Vincenzi Magnavacca) nel registro degli indagati.

Secondo l’indagine della procura, la 71enne aveva tagliato i ponti con parenti e amici, chiudendosi in casa dove viveva con la figlia (difesa dall’avvocato Gemma Gasponi) e limitando a lei i suoi unici contatti. Entrambe erano fautrici della medicina naturale, di cui sono stati trovati volumi nell’abitazione e il medico di base, in dieci anni di presa in carico, non le aveva mai visitate. In camera i carabinieri avrebbero trovato anche alcuni biglietti scritti presumibilmente dall’anziana (la Corte ha conferito una perizia calligrafica) nei quali riportava dialoghi con la figlia e la richiesta di non chiedere alcun aiuto. Come ricostruito in aula all’udienza di ieri, anche la figlia della donna aveva relazioni molto limitate nonostante al tempo lavorasse come commessa. In particolare è stato sentito un amico della donna che, in dieci anni, avrebbe avuto con lei solo contatti telefonici, intercorsi anche il giorno del decesso. Il 24 verranno sentiti i consulenti.

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