di Benedetta Cucci Se la ricorda ancora la sua prima proiezione all’Odeon, Susanna Nicchiarelli. Era il 2009 e lei arrivava in città per presentare il suo esordio ’Cosmonauta’. Poi è tornata sotto le Due Torri tante altre volte per il lancio dei suoi film, recentemente anche per i sopralluoghi per la sceneggiatura de "La conversione" diretto da Marco Bellocchio. Stasera la regista romana sarà di nuovo all’Odeon di via Mascarella alle 21,15, per presentare invece l’ultima fatica, "Chiara", in compagnia di Margherita Mazzucco e Andrea Carpenzano, rispettivamente Santa Chiara e San Francesco, nel film da qualche giorno nelle sale italiane (parlato in volgare umbro dell’epoca, la prima metà del 1200) e di Gian Luca Farinelli. Nicchiarelli, com’è nata in lei la voglia di fare un film su Chiara d’Assisi? "L’ho sempre vista sullo sfondo della storia di Francesco e non era mai molto chiaro quale fosse stato il suo ruolo, chi fosse lei. Nel film di Zeffirelli, ad esempio, c’è lei così bella, si vede qualche volta, ma si sa poco a suo riguardo. Quando durante un viaggio ad Assisi coi miei bambini ho deciso di approfondire, ho comprato qualche libro e mi è capitato tra le mani quello di Chiara Frugoni, ’Una solitudine abitata’ e ho scoperto che non solo Chiara passava sullo sfondo dei film su Francesco, ma in generale la sua storia non era stata mai raccontata neanche dalla chiesa più ufficiale, per quello che era stata veramente". Un’adolescente ribelle e rivoluzionaria. "Sì, la sua storia era scomoda, creava imbarazzo alla chiesa, perché era una donna che aveva lottato per fare qualcosa di diverso e che poi aveva dovuto rinunciare ad alcune componenti fondamentali della sua battaglia. Ma alla fine aveva invece vinto su cose importantissime". Dove si incontrano la sua attitudine verso la narrazione biografica riservata alle donne che sceglie di raccontare e il libro della medievista Chiara Frugoni, recentemente scomparsa? "La cosa bella del modo di lavorare di Chiara Frugoni è che è stata una consulente preziosissima. I suoi manuali partono dalle immagini e ritornano alle immagini ed è quindi capace di rendere vivo il medioevo, cosa che rende la lettura della storia più facile. Sono un’appassionata di storia e per questo mi piace fare film su personaggi storici che ci aiutano a capire tante cose del presente, quindi non potevo che apprezzare il suo modo di lavorare e ogni volta che avevo un dubbio o una domanda, lei mi mandava un’immagine". Nel film si fa notare la palette generale che integra natura, paesaggi, architetture, personaggi, abiti. Cos’ha cercato visivamente? "Siamo partiti dalle immagini medievali, ma ci hanno ispirato tanto le location. Abbiamo deciso di girare la maggior parte del film a San Pietro, a Tuscania, che è un luogo metafisico, con questo colore rosso e marrone del tufo e della pietra che ricorre poi nei vestiti, perché Massimo Cantini Parrini, il costumista, due volte candidato Premio Oscar, è un artista. Abbiamo studiato i costumi nella maniera più realistica possibile. Erano all’inizio e avevano indumenti rimediati, fatti di sacchi, pezzi di tuniche riciclate, quindi abbiamo fatto un costume diverso per ogni personaggio. Io avevo anche in mente i figli dei fiori dei Sessanta, gli anni Settanta, e quindi le tuniche hanno dei ricami: abbiamo studiato ma anche inventato".