L'inventore di PizzaBo Christian Sarcuni: "Ripartirei da Bologna"

Il fondatore della start up, poi rilevata da Just Eat: "Se oggi dovessi riprendere un’attività da imprenditore sceglierei di farlo sotto le Due Torri"

L'inventore di PizzaBo Christian Sarcuni

L'inventore di PizzaBo Christian Sarcuni

Bologna, 8 agosto 2022 - Mister PizzaBo risponde dal Messico anche se – spiega – da quando ha lasciato Bologna lavora principalmente tra Londra e gli Stati Uniti. Oggi fa il private investor . Il suo ufficio? "Con un portatile si lavora bene ovunque". Poi però, qualche differenza c’è: "Se oggi dovessi tornare all’imprenditoria attiva, non avrei dubbi, ripartirei da Bologna dove tutto è nato. Anzi, chissà, forse è ora". Christian Sarcuni, 36 anni, dalle Due Torri era partito quando nel 2016 si era dimesso da ad di PizzaBo, la geniale startup di consegne di pizza a domicilio che aveva creato quattro anni prima, da studente fuorisede, in compagnia di cinque suoi amici, con appena 1.000 euro di investimento. PizzaBo fu quella che si dice un ‘unicorno’: tre anni dopo la fondazione era già in una dozzina di città, e i tedeschi di Rocket Internet la comprarono per 51 milioni. Un anno dopo, Just Eat se la pappò per 125, dicendo addio al marchio. E al fondatore.

Sarcuni, lei dal giorno dopo è sparito.

"Tutto accadde troppo velocemente, e per me fu un vero choc".

Non parla da allora.

"Non potevo. Adesso sì, e vorrei togliermi dei sassolini".

Ad esempio?

"Quando Rocket Internet vendette PizzaBo a JustEat io non ne sapevo nulla. Gli accordi non erano questi. Una mattina fui convocato, e mi dissero: vi abbiamo ceduti. Chiamai tutti i dipendenti e glielo dissi. Qualcuno crede che abbia fatto il furbo".

E invece?

"Io mi opposi alla vendita, ne partì un lungo contenzioso, ma fu inutile".

Da imprenditore di successo a signor nessuno, a 28 anni.

"Ho lasciato Bologna, sono andato in Usa, ho studiato finanza, e ho capito i miei errori".

Cosa ha sbagliato?

"Con PizzaBo ci siamo comportati come una classica Pmi italiana. Siamo partiti da un investimento minimo e siamo cresciuti per step, reinvestendo di volta in volta i guadagni. Il che è comprensibile, vista l’età e la cultura imprenditoriale nella quale ci trovavamo. Ma di fronte a una crescita così veloce, avrei dovuto concentrarmi sulla finanza, e invece continuavo a gestire ossessivamente tutto. Il piccolo imprenditore italiano non sa delegare. Ma così la crescita può diventare un problema".

Poi sono arrivati i tedeschi.

"Eravamo in una fase di forte espansione, ci allargavamo in altre città. Sono partito con l’idea di raccogliere capitale per supportare questa crescita. Avevo messo un punto fermo: non cederò né la guida né la maggioranza. Poi, firmato l’accordo, sono iniziati i contrasti".

Si è pentito?

‘Col senno di poi, e con le conoscenze finanziarie che ho adesso, dico che era la scelta giusta. Ma se penso a come tutto è iniziato..."

Ne ha nostalgia?

"È stata un’avventura fantastica. Avevamo 21 anni, siamo diventati adulti in pochi anni al fianco di PizzaBo. E resta una soddisfazione, guardando al mercato di oggi: eravamo in anticipo sui tempi, e forse con una marcia in più".

A cosa si riferisce?

"Penso al mercato del delivery di oggi, e al nodo dei riders, che rendono le strutture pesanti, le marginalità basse e pongono una serie di questioni etiche".

Voi non ne avevate?

"No, il nostro schema era diverso. Ci limitavamo a procurare degli ordini al pizzaiolo che, per conto proprio, effettuava consegne a domicilio. Lasciavamo la logistica a chi sapeva farla e ci concentravamo su incrociare domanda e offerta in pochi clic".

Viceversa oggi, per funzionare, il delivery deve diventare globale.

"Ma resto con una convinzione: le consegne a domicilio sono strettamente connesse con l’urbanistica, la storia e la cultura di una città. Non si può applicare a Bologna un modello di consegne che funziona nelle metropoli americane".

È un capitolo chiuso. Il nuovo, quale sarà?

"Non lo so ancora, ma so che oggi, sei anni dopo l’esperienza PizzaBo, inizio ad avere di nuovo voglia di sporcarmi le mani con l’impresa. E so che, se lo farò, non sarà negli Usa".

Rifiuta il sogno americano?

"In America c’è visione e ci sono conoscenze, ma non c’è team. Così nascono idee grazie all’apporto di persone eccellenti che però, un giorno, all’improvviso, ti lasciano per buttarsi su altre idee. In questo l’Italia e una città come Bologna saranno sempre differenti. Se un gruppo di persone si lancia in un progetto, finisce per crederci. Ne nasce una famiglia e magari si cresce insieme. Così è stato con PizzaBo".

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