Cinque mesi fa l’addio alle scene "I nostri telefoni sono controllati"

Nei loro scellerati pezzi inneggiavano agli anni di Piombo da "riportare alla ribalta"

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Il ‘Collettivo musicale artistico insurrezionale’, come si autodefiniva la band P38, si è sciolto a giugno scorso, comunicando sui propri canali social la decisione: "Il progetto P38 è giunto al termine". Ma la causa, per i quattro indagati, non era da cercarsi nelle proprie performance scellerate: era invece ascritta al "tribunale dei magistrati e quello dei giornalisti", che incombevano "sulle nostre vite personali. I nostri telefoni, le nostre abitazioni e i nostri cari sono controllati da reparti Digos di tutta Italia". E alle date che erano stati costretti a cancellare visto che la malafama raggiunta, facendoli uscire dall’anonimato, aveva anche portato timori a chi, fino a quel momento, aveva ospitato le loro performance.

Performance che inneggiavano al ritorno della lotta armata, da "riportare alla ribalta. Ci fosse la lotta armata, ci fosse la rivoluzione, domani io stesso sarei il primo ad andare in strada a chiedere di essere arruolato", raccontavano in un’intervista su Youtube. E nei testi delle canzoni scrivevano cose del tipo: "vengo, spendo, sparo agli sbirri... Ferro caldo per il premier... bombe a Confindustria... Ti metto dentro una Renault 4... Ho incontrato Bruno Vespa gli ho sparato alle gambe, mi dice buonasera in un lago di sangue" e ancora "meglio morto che carabiniere. A Chiomonte lancio bombe nel cantiere". Parole pesanti come pietre. E ora alla base dell’accusa per istigazione a delinquere.

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