Cinzia Anastasio è morta a 15 anni il 27 novembre di 20 anni fa

Bologna, 27 novembre 2022 - La dimensione del tempo è elastica. La vita fluisce al ritmo delle emozioni. E quando irrompe un dolore troppo forte, il flusso, come un vecchio disco, si incanta. Ripete sempre lo stesso, straziante, frammento mozzo. La vita di Rosa Barba si è guastata vent’anni fa. Il 27 novembre 2002, un mercoledì qualunque d’autunno. In via Due Madonne, dove al tempo c’era un passaggio a livello a raso e oggi, al costo di due vite, non c’è più. Quella mattina Rosa aveva salutato, sulla porta di casa, la sua bambina Cinzia. Aveva 15 anni. È stata l’ultima volta. «Mi trovo all’improvviso a pensare a lei. La leggo nelle frasi dei libri, la rivedo di sfuggita in un film, sento la sua voce quando sovrappensiero ascolto la radio in macchina. Cinzia è lì, è un pensiero che non passa mai", dice Rosa. Cinzia Anastasio era in motorino con la sua amica Veronica Scinia, di 13 anni. Un Malaguti nuovo, che guidava da meno di un mese. Era andata a prendere l’amica a casa, poi erano state con la solita comitiva a chiacchierare. E si erano fatte quasi le sette, dovevano rientrare. La carovana di scooter, quattro, si trova di fronte alle sbarre del passaggio a livello che si abbassano. Ma con la sicurezza incosciente dell’adolescenza, i ragazzini superano le barriere e sfidano il destino. Tre scooter precedono il treno che fischia dietro di loro. Sono le 18,45. Cinzia e Veronica restano indietro. Vedono passare un primo regionale, pensano che sia fatta. Decidono. Attraversano la ferrovia. E un altro convoglio, che seguiva il primo, le travolge. Le spezza, come ramoscelli". Oggi. Vent’anni dopo. Rosa, cosa si prova? "Non si dimentica mai. Cinzia è per sempre quella ragazza meravigliosa di 15 anni che mi ha salutato sulla porta di casa per andare a scuola. Quello è stato l’ultimo attimo di felicità della mia vita, della nostra famiglia. Poi si è sfasciato tutto. Non c’è stato il tempo neppure di piangere, che sono iniziate le cause. Dieci anni tra tribunali, avvocati, assicurazioni". C’è stato un contenzioso tra la sua famiglia e i genitori di Veronica. "Dieci anni di processi, che sto pagando, con i doppi turni in ospedale, giorno dopo giorno, per tutta la vita. Perché il tribunale ha stabilito che fosse mia figlia a guidare il motorino, condannandomi a pagare 350mila euro. Ma io resto convinta, basandomi su quel poco che è rimasto di Cinzia, su quello che mi hanno restituito di lei, che questo non sia possibile. Il suo zaino è rimasto intatto, sporco di sangue solo dietro. Se avesse guidato lei lo avrebbe avuto tra le gambe. E si sarebbe disintegrato". Pure se la morte ha diviso le vostre famiglie, Cinzia e Veronica riposano ancora vicine, amiche per sempre. "I loculi sono fianco a fianco alla Certosa. Ma adesso, passati i vent’anni, è arrivato il tempo di spostarle. Non ho ancora deciso come fare. Con il padre di Cinzia non siamo ancora d’accordo. Anche con lui dopo la morte è finito tutto". Neppure lui ha retto al dolore. "Lo choc lo ha straziato. In casa eravamo arrivati a vivere due esistenze separate. Ma quando ho deciso di divorziare è diventato geloso e ossessivo. Un giorno mi ha picchiata, sono scappata scalza per strada perché avevo paura volesse ammazzarmi. Ora sono passati anni e ci siamo tornati a sentire solo per parlare delle altre nostre figlie. Quando una tragedia entra in casa, porta dietro di sé una catena di dolore e disgrazie". Anche Giovanni, uno degli amici che erano con Cinzia e Veronica quel mercoledì, è morto giovanissimo... "Dopo la morte di Cinzia, Giovanni veniva quasi ogni giorno a casa. Parlava con me per ore. Sei mesi dopo l’incidente di mia figlia, è morto anche lui. In scooter, contro un camion, davanti al Pianeta. Uno strazio che si è aggiunto al nostro dolore. Io sono riuscita ad andare avanti solo per le mie altre figlie. Le più grandi ora sono fuori di casa, la più piccola, che è sorda e che quando è accaduto aveva due anni, è ancora con me. Il trauma che ha colpito tutti noi ha influenzato la sua vita, non siamo potuti essere presenti per lei come avremmo dovuto... E io sopravvivo, ancora, solo perché so che ha bisogno di me". Però c’è tanto affetto ancora intorno a voi, il ricordo di Cinzia non muore. "Gli amici di mia figlia ancora mi scrivono su Facebook. Mi chiedono come sto, sono sempre affettuosi. Abbiamo messo una lapide a ricordo di Cinzia in via Due Madonne, è piena di scritte, ci portano fiori. Dopo che mia figlia e Veronica sono morte, lì hanno fatto dei lavori, ora c’è un sottopasso. Ci fosse stato vent’anni fa, sarebbero vive". Ci sono volute due vite giovanissime per far cambiare le cose. "Sì. Ho visto pochi giorni fa l’ennesima tragedia in via Zanardi, il pensionato travolto. Ogni volta che leggo queste storie rivivo un incubo. Quando la scorsa estate ho saputo della tragedia di Giulia e Alessia, le due sorelle investite a Riccione, sono crollata. Ho rivisto in quelle ragazze mia figlia, mi sono sentita male".

Cronaca

Bologna, 27 novembre 2022 -&nbsp;La dimensione del tempo è elastica. La vita fluisce al ritmo delle emozioni. E quando irrompe un dolore troppo forte, il flusso, come un vecchio disco, si incanta. Ripete sempre lo stesso, straziante, frammento mozzo. La vita di Rosa Barba si è guastata vent’anni fa. Il 27 novembre 2002, un mercoledì qualunque d’autunno. In via Due Madonne, dove al tempo c’era un passaggio a livello a raso e oggi, al costo di due vite, non c’è più. Quella mattina Rosa aveva salutato, sulla porta di casa, la sua bambina Cinzia. Aveva 15 anni. È stata l’ultima volta. 
«Mi trovo all’improvviso a pensare a lei. La leggo nelle frasi dei libri, la rivedo di sfuggita in un film, sento la sua voce quando sovrappensiero ascolto la radio in macchina. Cinzia è lì, è un pensiero che non passa mai", dice Rosa. Cinzia Anastasio era in motorino con la sua amica Veronica Scinia, di 13 anni. Un Malaguti nuovo, che guidava da meno di un mese. Era andata a prendere l’amica a casa, poi erano state con la solita comitiva a chiacchierare. E si erano fatte quasi le sette, dovevano rientrare. La carovana di scooter, quattro, si trova di fronte alle sbarre del passaggio a livello che si abbassano. Ma con la sicurezza incosciente dell’adolescenza, i ragazzini superano le barriere e sfidano il destino. Tre scooter precedono il treno che fischia dietro di loro. Sono le 18,45. Cinzia e Veronica restano indietro. Vedono passare un primo regionale, pensano che sia fatta. Decidono. Attraversano la ferrovia. E un altro convoglio, che seguiva il primo, le travolge. Le spezza, come ramoscelli". 
Oggi. Vent’anni dopo. Rosa, cosa si prova? 
"Non si dimentica mai. Cinzia è per sempre quella ragazza meravigliosa di 15 anni che mi ha salutato sulla porta di casa per andare a scuola. Quello è stato l’ultimo attimo di felicità della mia vita, della nostra famiglia. Poi si è sfasciato tutto. Non c’è stato il tempo neppure di piangere, che sono iniziate le cause. Dieci anni tra tribunali, avvocati, assicurazioni". 
C’è stato un contenzioso tra la sua famiglia e i genitori di Veronica. 
"Dieci anni di processi, che sto pagando, con i doppi turni in ospedale, giorno dopo giorno, per tutta la vita. Perché il tribunale ha stabilito che fosse mia figlia a guidare il motorino, condannandomi a pagare 350mila euro. Ma io resto convinta, basandomi su quel poco che è rimasto di Cinzia, su quello che mi hanno restituito di lei, che questo non sia possibile. Il suo zaino è rimasto intatto, sporco di sangue solo dietro. Se avesse guidato lei lo avrebbe avuto tra le gambe. E si sarebbe disintegrato". 
Pure se la morte ha diviso le vostre famiglie, Cinzia e Veronica riposano ancora vicine, amiche per sempre. 
"I loculi sono fianco a fianco alla Certosa. Ma adesso, passati i vent’anni, è arrivato il tempo di spostarle. Non ho ancora deciso come fare. Con il padre di Cinzia non siamo ancora d’accordo. Anche con lui dopo la morte è finito tutto". 
Neppure lui ha retto al dolore. 
"Lo choc lo ha straziato. In casa eravamo arrivati a vivere due esistenze separate. Ma quando ho deciso di divorziare è diventato geloso e ossessivo. Un giorno mi ha picchiata, sono scappata scalza per strada perché avevo paura volesse ammazzarmi. Ora sono passati anni e ci siamo tornati a sentire solo per parlare delle altre nostre figlie. Quando una tragedia entra in casa, porta dietro di sé una catena di dolore e disgrazie". 
Anche Giovanni, uno degli amici che erano con Cinzia e Veronica quel mercoledì, è morto giovanissimo... 
"Dopo la morte di Cinzia, Giovanni veniva quasi ogni giorno a casa. Parlava con me per ore. Sei mesi dopo l’incidente di mia figlia, è morto anche lui. In scooter, contro un camion, davanti al Pianeta. Uno strazio che si è aggiunto al nostro dolore. Io sono riuscita ad andare avanti solo per le mie altre figlie. Le più grandi ora sono fuori di casa, la più piccola, che è sorda e che quando è accaduto aveva due anni, è ancora con me. Il trauma che ha colpito tutti noi ha influenzato la sua vita, non siamo potuti essere presenti per lei come avremmo dovuto... E io sopravvivo, ancora, solo perché so che ha bisogno di me". 
Però c’è tanto affetto ancora intorno a voi, il ricordo di Cinzia non muore. 
"Gli amici di mia figlia ancora mi scrivono su Facebook. Mi chiedono come sto, sono sempre affettuosi. Abbiamo messo una lapide a ricordo di Cinzia in via Due Madonne, è piena di scritte, ci portano fiori. Dopo che mia figlia e Veronica sono morte, lì hanno fatto dei lavori, ora c’è un sottopasso. Ci fosse stato vent’anni fa, sarebbero vive". 
Ci sono volute due vite giovanissime per far cambiare le cose. 
"Sì. Ho visto pochi giorni fa l’ennesima tragedia in via Zanardi, il pensionato travolto. Ogni volta che leggo queste storie rivivo un incubo. Quando la scorsa estate ho saputo della tragedia di Giulia e Alessia, le due sorelle investite a Riccione, sono crollata. Ho rivisto in quelle ragazze mia figlia, mi sono sentita male". 
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