Claudio Lolli morto, il ricordo. "Volevamo urlare al mondo"

Una vita spesa nel rigore, tra note e insegnamento

Claudio Lolli (Veca)

Claudio Lolli (Veca)

Bologna, 18 agosto 2018 - Sarà felice come i suoi zingari finalmente, Claudio Lolli. Quelli che aveva suonato e cantato per tanti anni in piazza Maggiore, lui che è stato forse il cantore più sincero delle piazze di questa città. Una città che lo ha amato alla follia nel ’77, e poi con la stessa foga lo ha dimenticato. Ma questo, si sa, è il destino di certi poeti. Soprattutto quelli che come lui, che si è spento ieri all’età di 68 anni per una crisi cardiaca, erano soliti aprire la finestra, anche se "subito noi diciamo che è una finestra sbagliata".

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Cantautore ribelle, controcorrente, impegnato, Lolli. Ma di quell’impegno che non si usa più neanche tra i politici, così dritto, spigoloso e sicuro. "Una volta era così – soleva dire –: cantavamo perché avevamo dentro qualcosa da urlare. Poi, dopo di noi, sono arrivati i cantautori dei buoni sentimenti, dell’amore, delle fragole". E il riferimento scherzoso era all’amico Luca Carboni, che a Lolli nel 2009 ha tributato una cover degli Zingari Felici regalando a lui e a quel brano un ultimo ritorno di celebrità in radio e sui grandi palchi.

Nato di buona famiglia, di quella borghesia bolognese che tanto spesso ha poi preso in giro nei suoi testi, i suoi esordi sono nelle aule universitarie e all’Osteria delle Dame. Voce, testi poetici e arguti, finger picking alla chitarra. È Guccini a portarlo alla Emi nel 1972, per pubblicare Aspettando Godot. Il vero successo però è del 1976, con Ho visto anche degli zingari felici. Disco che nasce con un primato: fu registrato con le canzoni unite una dopo l’altra, in un unicum che non si interrompe mai. Per farlo, Lolli chiese e ottenne dalla Emi una serie di eccezioni, su scelte stilistiche e sul prezzo, politico, di 3.500 lire.

All’interno brani che sembravano perfetti per i mesi che stavano per arrivare: Ho visto anche degli zingari felici, Agosto, che racconta la strage dell’Italicus, Piazza bella piazza, Anna di Francia. Il disco scoppiò nelle radio libere, ma poi un altro successo uguale non venne. Lolli continuò a fare dischi, sempre più in sordina, e nel frattempo prese a insegnare italiano, a lungo al liceo scientifico di Casalecchio, adorato dagli studenti. Il ritorno sulle scene è stato in duo con il chitarrista Paolo Capodacqua, poi con il Parto delle Nuvole Pesanti e con una serie di dischi della orvietana Storie di Note. Negli ultimi anni sempre più spesso i suoi concerti sono nati dal basso, dai suoi tanti fan ed estimatori che letteralmente gli ha fatto da promoter.

L’ultimo concerto a Bologna al Cinema Galliera, nel 2014. Poi il ritorno in pompa magna al Premio Tenco, dove era stato bandito per decenni, quindi un disco nel 2017, Il grande freddo, che oggi suona come un macabro presentimento. Lolli, che non si è mai spostato dalla sua casa in via Indipendenza, lascia due figli e una moglie amata per tutta la vita, come testimonia Lettere matrimoniali, uno stupendo libro epistolare del 2013. Sulla morte aveva scherzato con La morte della mosca, epitaffio per un insetto e "crack! l’ultimo colpo di ali. Ma fortuna che noi siamo uomini, fortuna che siamo immortali".

In mattinata, sono arrivate anche le condoglianze della presidente dell'Assemblea legislativa regionale, Simonetta Saliera, secondo la quale "la sua scomparsa è motivo di dolore per tutti noi, perché ha rappresentato una generazione di impegno e di passione politica, di attenzione agli aspetti spesso ignorati della società".

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