CHIARA GABRIELLI
Cronaca

Investì e uccise il collega: “Fu un incidente”

La Corte d’assise condanna il camionista a tre anni: omicidio stradale, esclusa la volontarietà. La procura aveva chiesto 18 anni

Il luogo dell'incidente e, nelle due foto in piccolo, Rachid Nfir, morto a 47 anni, e Rocco Giulio Capria

Il luogo dell'incidente e, nelle due foto in piccolo, Rachid Nfir, morto a 47 anni, e Rocco Giulio Capria

Minerbio (Bologna), 9 aprile 2025 – “È stato riconosciuto quello che abbiamo sostenuto dall’inizio, che è stato un omicidio stradale. Lui confidava in questo esito, ha sempre detto quello che poi la Corte d’Assise ha riconosciuto. Si è tolto un bel peso. Anche io sono molto soddisfatta, e sono contenta per lui”. Sono le parole dell’avvocato Manuela Amore, dopo che oggi, a quasi sei anni dai fatti, è arrivata la sentenza: non si è trattato di un gesto volontario, ma di un incidente, come sostenuto dalla difesa.

La Corte di assise di Bologna ha riqualificato in omicidio stradale quanto successo il 27 settembre 2019 a Minerbio e ha condannato a tre anni, a fronte di una richiesta di 18 anni da parte della procura, Rocco Giulio Capria, camionista, residente a Rosarno (Reggio Calabria), che investì e uccise con il suo camion il collega Rachid Nfir, 47 anni, marocchino, davanti allo zuccherificio Coprob.

L’imputato, difeso dall’avvocata Manuela Amore, ha sempre sostenuto la tesi di un investimento accidentale e la sua legale durante arringa e repliche ha chiesto la riqualificazione del reato, che ha consentito anche di fruire dello sconto del rito abbreviato. Nell’interrogatorio, la scorsa udienza (il 26 marzo), Capria aveva spiegato di essersi distratto mentre era alla guida a causa di un altro pedone, con il quale aveva litigato il giorno precedente, che si avvicinava al camion sul lato sinistro con in mano un palanchino e per evitare di investirlo avrebbe svoltato a destra travolgendo Nfir.

“Ho sterzato, mi sono girato, ho visto una sagoma con il martello in mano, giusto il tempo di rendermene conto per poi frenare. Ma come facevo a frenare se non l’avevo visto?”, aveva detto rispondendo alle domande del pm Mariangela Farneti.

Secondo l’accusa, dietro il gesto ci sarebbero stati rancori e liti tra i due autotrasportatori e per questo si procedeva per omicidio volontario aggravato da futili motivi. L’altra volta era stata esaurita l’istruttoria, poi c’era stata la discussione e la pm aveva chiesto 18 anni, mentre la difesa chiesto la riqualificazione in omicidio stradale.

“Ho preso la patente C quando avevo 18 anni, guidavo il camion dei gelati – aveva spiegato l’imputato, durante l’esame –. Quel giorno, nel punto del piazzale dove stavo io, non c’era nessuno. C’erano sì dei pedoni nell’area, ma nessuno vicino a cui avrei potuto causare incidenti”.

Alla domanda del pm se conoscesse da prima la vittima, lui aveva negato, sottolineando che non aveva “mai avuto niente a che fare con quei due marocchini (Nfir e un altro, ndr), ho scoperto il nome solo dopo, dai verbali”. Inizialmente Capria finì in carcere, ma poi il Tribunale della Libertà stabilì per lui i domiciliari con l’accusa di omicidio stradale. E ieri, la Corte d’assise lo ha condannato in primo grado a tre anni.

Al momento, non era sottoposto a misure cautelari. Capria non era presente quando ieri è stato letto il dispositivo. Probabilmente, la procura farà appello contro la sentenza.