Il sonno delle coscienze

Bologna, 12 luglio 2015 - Il più grande lascito di Biffi? Il crollo del Muro di Bologna. A distanza di quasi vent’anni, ci sembra proprio questo l’effetto più eclatante di quei diciannove anni di Ministero. Biffi ci lascia riflessioni agili e profonde. In certi casi è stato un vero anticipatore, come quando criticava le inerzie dello Stato e della Cei sull’immigrazione; ben prima della Fallaci. O quando bollava il «salutismo ansioso e il disperato estetismo». O quando, rifacendosi al russo Solovev, diceva che l’Anticristo sarà «ecologista, animalista» e si dimostrerà un «eccellente ecumenista capace di dialogare con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza». Quella di Biffi era vera e propria controinformazione che vedeva con occhiali nuovi ciò che tutti davano per scontato. Ma quello che colpisce delle sue omelie, a rileggerle, è la prosa asciutta e sempre calata nell’oggi. Biffi appare come un reporter della Fede che interpreta a colpi di Vangelo quello che sembra normale. Testimonia la sua «diversità» e invita i suoi fedeli a fare altrettanto («han bisogno non di parole carezzevoli ma di verità»). Sono gli altri che gridano allo scandalo, chi non la pensa come lui e teme il confronto con un pensiero forte.

Biffi arriva sulla cattedra di Petronio nell’84 su richiesta di Giovanni Paolo II. L’anno dopo Wojtyla, il Papa che abbattè il comunismo e che Biffi definisce «intrepido missionario del Regno di Dio», lo fa cardinale. Gli basta un altro anno e due numeri per capire: gli emiliano-romagnoli sono i più ricchi d’Italia e quelli col più alto tasso di suicidi. Nell’86, davanti ai vescovi della regione, parla di «un popolo che non ha più voglia di vivere», di un «popolo sazio e disperato». Non era un giudizio, aveva collegato due numeri. Per il cardinale venuto da Milano, l’Emilia è una «curiosa cerniera» tra i mali spirituali della cultura marxista e quelli della cultura radicaleggiante e liberal-borghese. Nel ’92 lancia quindi la Nuova evangelizzazione per proclamare il messaggio di Cristo «con slancio più generoso, con voce più fresca, con animo più risoluto». E soprattutto, com’è nel suo stile, «oltre gli schemi convenzionali e i moduli consueti». Ne fissa i tempi in otto anni e cinque fasi che si concludono nel 2000 con le «missioni al popolo in ogni parrocchia». Il suo clero non l’accoglie bene, i cattolici bolognesi sono ancora in sonno dopo gli anni di Poma e Manfredini, la stampa di sinistra grida allo scandalo. Lui, imperterrito. Anzi, sembra contento. E continua a picchiare. 

A poco a poco le coscienze si svegliano, e i bolognesi si dimostreranno meno timorosi del loro clero affascinato invece dal verbo dossettiano. Quando era ancora in campagna elettorale, il candidato sindaco (e laico) Guazzaloca affrontò il primo incontro col cardinale come uno scolaretto all’esame. Ne raccolse simpatiche battute che maturarono poi in una lunga amicizia. Guazza abbattè il Muro, per diserzione dei ‘rossi’ più che per merito suo, si disse. In realtà, oltre che suo, il merito fu di una Bologna che aveva ritrovato la speranza, che aveva ritrovato la voglia di discutere, di opporsi al pensiero dominante. E quella forza, dopo 15 anni di predicazione, gliel’aveva data proprio Biffi. Oggi, che viviamo in un placido e annoso letargo, appare chiaro. 

 

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