Si parlerà soprattutto di cultura e politica. "Perché – spiega scherzosamente Ivano Dionigi – il sapere e il potere sono i miei due demoni". Non a caso a lui, latinista esimio, ex rettore e professore emerito del nostro ateneo ma anche personalità pubblica in quanto consigliere comunale per tre mandati, è stata attribuita la targa intitolata a Paolo Volponi, e cioé a un intellettuale che è stato capace di incontrare la politica. La cerimonia di consegna, presieduta da Marilena Pillati, avverrà alla Casa dei Pensieri del Parco Nord domani sera alle 21: con l’ex rettore dialogherà Pier Luigi Bersani. "Non parleremo di partiti o di questioni legate alla cronaca – precisa Dionigi –. Rifletteremo, per dirla con Agostino, sul ‘grido del pensiero’ ".
Professore, a parte le lauree honoris causa e una cittadinanza onoraria, lei ha ricevuto in carriera molti riconoscimenti. Cosa pensa dei premi?
"Alcuni li ho rifiutati perché iscritti in una logica di scambi o di amicizie. Mi interessano quelli legati a un profilo preciso che comprovano un’eccellenza. Apprezzo le persone egregiche e non gregarie".
Perché è necessario aprire una riflessione su politica e cultura?
"Perché oggi manca il senso dell’altro e della comunità. È come se vivessimo in un perenne lockdown in cui tutti siamo diventati eremiti di massa. I social, eliminando la vocale finale, hanno cancellato il sociale. Inorridisco quando sento esponenti delle istituzioni che per tacitare le ragioni dell’avversario mettono la filosofia in antitesi con la politica. Platone lodava coloro che venivano costretti alla politica senza proporsi. Serve gente che ha il senso del destino dell’uomo".
La nostra società patisce parecchi deficit. Quali, in particolare?
"In primo luogo quello del tempo, mortificato dal predominio dello spazio. Viviamo in un perenne presente nel quale non ci sono memoria e tradizione ma non esiste nemmeno futuro. E poi soffriamo di un deficit spirituale: ci soffermiamo all’immediato senza andare oltre quello che appare. La classe dirigente dovrebbe avere un pensiero sul destino di un popolo e pensare alla rappresentanza più che alla rappresentazione di se stessa". Per vent’anni ha organizzato nell’aula magna di Santa Lucia gli incontri sulla contemporaneità dei classici. Come è arrivata questa intuizione?
"L’idea è nata da un confronto con Massimo Cacciari dopo varie iniziative pubbliche particolarmente affollate. Sono stati un momento di meditazione della comunità universitaria e di quella cittadina".
Perché nei suoi studi si è soffermato su due autori fra loro agli antipodi come Seneca e Lucrezio?
"Rappresentano l’homo duplex, sono il segno della contraddittoria condizione umana. Seneca è ortodosso, Lucrezio iconoclastia, uno è uomo pubblico, l’altro sceglie l’antipolitica. Uno crede nella religione, l’altro denuncia i suoi misfatti. Perché i classici? Ma perché il presente non ci basta. I classici ci aiutano a parlare bene e chi parla bene pensa bene".