Coronavirus Bologna, focolaio nella casa di riposo. Cinque morti e 34 positivi

L’sos di Gianluigi Pirazzoli, direttore della struttura Sant’Anna e Santa Caterina di via Pizzardi: "Servono tamponi a tappeto"

L’ingresso della casa di riposo Sant’Anna e Santa Caterina, in via Pizzardi

L’ingresso della casa di riposo Sant’Anna e Santa Caterina, in via Pizzardi

Bologna, 26 marzo 2020 - "Servono uomini e dotazioni, altrimenti non ce la facciamo. La situazione non è rosea ma al momento teniamo botta". Scatta l’allarme alla casa di riposo Sant’Anna e Santa Caterina di via Pizzardi. Dopo l’sos lanciato dai sindacati sabato scorso, la conferma arriva dai numeri e dal direttore dell’istituto Gianluigi Pirazzoli. "Abbiamo chiesto al Comune e all’Ausl tamponi a tappeto e presidi medici. Inoltre stiamo cercando operatori anche perché da qualche giorno più di trenta dipendenti sono rimasti a casa, chi per malattia, chi per ferie. C’è paura del contagio".

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I numeri, a ieri sera, erano sempre più drammatici: cinque i morti (anche se qualcuno parla addirittura di almeno un paio in più), l’ultimo in mattinata. Un uomo di 64 anni. Tre di loro deceduti all’interno della struttura, gli altri in ospedale. Trentaquattro in totale invece i positivi: 18 i residenti (dei 22 tamponi effettuati. Tutti, va ribadito, si trovano isolati al quarto piano dell’istituto, quello dove in questi giorni è scoppiata l’infenzione) e 16 gli operatori sanitari. Due, infine, le operatrici ricoverate: una in terapia intensiva al Maggiore, l’altra invece all’ospedale di Cona a Ferrara. "Oltre sessanta i tamponi che abbiamo effettuato – riprende Pirazzoli – e non solo al quarto piano. Tra i positivi ci sono anche infermieri, fisioterapisti, donne delle pulizie".

"Qualcuno – chiosa Simone Raffaelli della Fp-Cgil – dovrà spiegarci quali siano state le misure adottate, anche sulla base di quanto ha affermato il commissario Sergio Venturi, ovvero che il virus nelle case protette può arrivare solo dall’esterno. Chiediamo alla struttura di dirci cos’è successo la settimana scorsa e quella ancora precedente". E proprio dall’interno arriva la voce di una delle 200 tra operatori e operatrici che, come tanti, da lunedì si è messa in malattia. "Ho la tosse e mal di gola – racconta la donna – e come altre colleghe non voglio più tornare a lavorare in quelle condizioni. È stato perso troppo tempo, bisognava agire immediatamente perché adesso, forse, è troppo tardi". Le mascherine, ad esempio, secondo la testimone, sarebbero arrivate solamente il 16 marzo. "Una per turno. Il problema è che tutti noi veniamo da fuori, abbiamo contatti con le nostre famiglie e molti utilizzano treni e mezzi pubblici. Se, poi, come è accaduto, c’è un positivo, all’interno succede un macello". Più tranquilla la situazione che si vive ai Platani di via Serlio, con 100 residenti e una settantina di operatori. Uno dei quali risultato positivo come spiega Massimo Secondo, il responsabile: "Il 24 febbraio abbiamo iniziato a non fare entrare parenti e questo forse ha aiutato. Da quel momento in poi abbiamo utilizzato linee guida molto severe. Tutti i tamponi che abbiamo fatto, a esclusione dell’operatore che era già in malattia, sono risultati negativi".

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