Coronavirus, come batterlo. Viale "Mascherine e 20mila tamponi al giorno"

Il primario infettivologo di Bologna: "Se in Emilia Romagna raggiungiamo questa cifra, ci salveremo dalla seconda ondata"

Coronavirus, un tampone effettuato in stazione

Coronavirus, un tampone effettuato in stazione

Bologna, 6 ottobre 2020 -  Ci sono stati i giorni della medicina di guerra, poi quelli della ricerca di guerra. "E oggi c’è un’unica frontiera in questa guerra: la responsabilità civile", affonda la lama nel panetto di burro delle nostre certezze Pierluigi Viale, infettivologo del Policlinico Sant’Orsola.

Per il professore, uno dei protagonisti del Festival della scienza medica in programma a Bologna fino al 17 ottobre ( www.bolognamedicina.it, il Covid è proprio tra gli argomenti principali), ci salveremo dalla seconda ondata solo in un modo: "Puntiamo a 20mila tamponi al giorno in Emilia-Romagna e sommiamo questo incremento all’uso costante e corretto della mascherina".

L’infettivologo del Sant’Orsola Pierluigi Viale
L’infettivologo del Sant’Orsola Pierluigi Viale
Professore, non le pare una previsione ottimistica? "E’ realistica. Non bisogna perdere la riverenza nei confronti della malattia, ma dobbiamo capire che siamo tutti responsabili della prevenzione da Covid. Certo, non basta la coscienza civile: ma con la misura di educazione civica, ovvero l’utilizzo della mascherina, potremmo non ritrovarci davvero come altri Paesi che devono chiudere tutto". La mascherina, va bene. Ma il sistema sanitario? "Dei mille-duemila casi al giorno che abbiamo, molti sono asintomatici, frutto di un sistema che sa tracciare contatti e trasmissione del virus in fase precoce. Ecco perché dico che bisogna aumentare i tamponi (oggi se ne fanno in media fino a 8mila al giorno in Emilia-Romagna, ndr): la chiave è la ricerca dei contatti attorno ai sintomatici e a chi viene ‘scoperto’ in altro modo". I vostri studi sul caso di Medicina hanno confermato una teoria... "Che il malato sintomatico è un dispersore di virus formidabile: pensate all’ex bocciofila, si sono infettati quasi tutti, si sono visti morire l’uno con l’altro, mi vengono ancora i brividi pensando a cos’è stato quel periodo. Ma anche grazie a Medicina abbiamo capito che il malato asintomatico è un dispersore di virus meno efficiente. Tutti i malati gravi, ad esempio, hanno un sintomo che torna sempre: la febbre che non passa". Quindi? "Se riuscissimo a controllare a tutti la febbre... E poi sappiamo che la mascherina ferma più del 70% delle particelle che emettiamo. Se sei asintomatico e usi la mascherina, è molto probabile che non trasmetterai il virus. Ecco quindi perché è l’ora della responsabilità civile". Gli strumenti in vostro possesso sono maggiori. "I primi 100 giorni di Covid sono stati un’esperienza drammatica, coinvolgente, innovativa. Eravamo di fronte a una specie di mostro di ‘Alien’, pensavo spesso al film ‘La Guerra dei mondi’. Abbiamo combattuto come contro l’Hiv, un nemico sconosciuto". Poi sono giunte terapie e soluzioni alternative. "Abbiamo commesso errori, ad esempio non capire subito che un malato è contagioso solo per un periodo di tempo. Poi c’è stato il tema dei farmaci: finita la massima pressione, abbiamo fatto studi prospettici e randomizzati". Per esempio sull’eparina? "In dosi intermedie potrebbe essere protettiva. Ad aprile abbiamo sottoposto uno studio all’agenzia del farmaco: non posso dire che faccia già parte del bagaglio terapeutico, ma la stiamo studiando in maniera approfondita. Fondamentale è stato però il lavoro dei tanti giovani, che ringrazio, andati in giro per l’Emilia-Romagna per costruire quello che chiamiamo score predittivo di gravità. L’obiettivo era capire se ci fossero parametri o sintomi per dire se un paziente avesse rischio alto, medio-basso o basso. E’ stato un primo grande sforzo che ha portato alla definizione di un vero sistema predittivo".

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