Covid Bologna, studio del Sant'Orsola. "Con la diagnosi precoce si dimezzano le vittime"

La ricerca: mortalità più elevata con doppio danno al polmone. Si potrà così individuare chi è più a rischio, così da mirare le terapie

Il professor Ranieri del San'Orsola con medici e infermieri della terapia intensiva

Bologna, 21/10/2019. Servizio fotografico realizzato per campagna vaccinazione 2019. Terapia Intensiva. Foto Paolo Righi

Bologna, 31 agosto 2020 - Due esami identificano il meccanismo responsabile dell'elevata mortalità in Terapia intensiva dei pazienti colpiti da Covid 19: così la diagnosi precoce, assieme al supporto delle cure, può portare un calo dei decessi fino al 50%.  

E' il risultato dello studio italiano che vede capofila il Sant'Orsola, condotto su 301 ricoverati, in sei strutture: oltre al Policlinico bolognese, il Policlinico di Modena, tre ospedali di Milano, il Maggiore, il Niguarda e l’Istituto Clinico Humanitas, il San Gerardo di Monza e il Gemelli di Roma. 

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La ricerca,  pubblicata su “Lancet Respiratory Medicine”, è stata coordinata da Marco Ranieri, direttore dell’Anestesia e Terapia intensiva polivalente del Sant'Orsola: il professore è l'ideatore del circuito in grado di ventilare due malati con un solo respiratore.

Lo studio ha visto anche il coinvolgimento di Franco Locatelli del Bambino Gesù, presidente del Consiglio superiore di sanità e membro del Comitato tecnico scientifico, con la collaborazione tra atenei italiani (Alma Mater  di Bologna, Unimore, Università di Milano, Università di Milano-Bicocca, Università di Torino, Università Humanitas, l'Università Cattolica del Sacro Cuore) ed esteri (Université Libre de Bruxelles, University of Ireland Galway e University of Toronto).

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Lo studio

Quando il Covid-19 provoca un doppio danno al polmone, rovinando sia gli alveoli che i capillari polmonari, la mortalità dei pazienti in terapia intensiva aumenta sensibilmente. È il meccanismo scoperto e descritto dallo studio, i cui risultati consentiranno di individuare rapidamente chi è più a rischio, così da mirare le terapie. Due esami identificano questa condizione la cui diagnosi precoce, assieme al supporto delle massime cure disponibili in terapia intensiva, si stima possa portare a un calo della mortalità fino al 50%.

Il Sars-Cov-2, viene spiegato, può danneggiare entrambe le componenti del polmone: gli alveoli, cioè le unità del polmone che prendono l'ossigeno e cedono l'anidride carbonica, e i capillari, i vasi sanguigni dove avviene lo scambio tra anidride carbonica e ossigeno. Quando il virus danneggia sia gli alveoli che i capillari polmonari muore quasi il 60% dei pazienti.

Quando danneggia un solo componente, a morire è poco più del 20% dei pazienti. Il fenotipo, cioè il modo in cui si manifestano le condizioni, dei pazienti col 'doppio dannò è facilmente identificabile attraverso la misura di un parametro di funzionalità polmonare (la distendibilità del polmone minore di 40, a fronte di un valore normale di 100) e di un parametro ematochimico (il D-dimero maggiore di 1.800 con valore normale 10). Questi risultati hanno importanti implicazioni sia per le cure attualmente disponibili che per i futuri studi su nuovi interventi terapeutici. Il riconoscimento rapido del fenotipo col 'doppio dannò consentirà una precisione diagnostica molto più elevata e un utilizzo delle terapie più efficace, riservando a questi malati le misure più 'aggressivè, come la ventilazione meccanica, la extra-corporeal membrane oxygenation (Ecmo), trattando invece con la ventilazione non invasiva col casco e il ricovero in terapia sub-intensiva i pazienti con 'danno singolò. Nel futuro questi risultati consentiranno di identificare rapidamente i pazienti in cui testare trattamenti sperimentali con anti-coagulanti per prevenire il danno ai capillari polmonari.

La Regione: "Un passo importante"

"Lo studio del Policlinico Sant'Orsola di Bologna, che ha coinvolto anche il Policlinico di Modena e l'Università di Modena e Reggio Emilia, sui meccanismi responsabili dell'elevata mortalità in terapia intensiva dei pazienti affetti da Coronavirus è un altro esempio dell'eccellenza della sanità pubblica dell' Emilia-Romagna e della qualità professionale di chi vi lavora. Non solo nei mesi piu' difficili della pandemia il sistema sanitario regionale ha contribuito in maniera decisiva a gestire un'emergenza senza precedenti, ma allo stesso tempo ha gettato le basi per segnare un significativo passo in avanti nella lotta al virus, che potrebbe portare a raddoppiare il tasso di sopravvivenza nei pazienti più gravi nell'attesa del vaccino, speriamo tutti la più breve possibile".

Così il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, e l'assessore regionale alle Politiche per la salute, Raffaele Donini, commentano la ricerca- con il Policlinico Sant'Orsola capofila e pubblicata sulla rivista scientifica Lancet.

"Gli incredibili risvolti che questa scoperta potrebbe avere sono a disposizione di tutta la comunità scientifica internazionale grazie alla pubblicazione su una rivista autorevole come Lancet, ma è importante sottolineare anche il valore simbolico dello studio - aggiungono Bonaccini e Donini -. L' Emilia-Romagna è questa, e diciamo Emilia- Romagna a pieno titolo perchè  insieme al Sant'Orsola sono coinvolti anche il Policlinico di Modena e l'Università di Modena e Reggio Emilia: una regione dove non ci si limita all'ordinario, anche quando è straordinario come una pandemia, ma si guarda sempre avanti e ci si pone obiettivi sempre piu' ambiziosi".

"A tutti i medici, ai ricercatori e gli accademici coinvolti- chiudono Bonaccini e Donini- va il nostro grazie e quello dell'intera comunità regionale, per darci una nuova speranza di evitare ulteriori vittime in un momento in cui il virus non e' ancora sconfitto e nel quale le regole devono continuare a essere rispettate. E questo è sempre bene ricordarlo".

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