Corruzione all'università, le intercettazioni. "I candidati sono merce di scambio"

Ecco come funzionava il sistema dei concorsi pilotati. "Ognuno dichiari le sollecitazioni. Per trasparenza"

Adriano Di Pietro, prof di Diritto tributario, finito ai domiciliari

Adriano Di Pietro, prof di Diritto tributario, finito ai domiciliari

Bologna, 26 settembre 2017 - Come funzionava il sistema che ha portato all'inchiesta sui concorsi truccati, lo spiega nel 2015 Adriano Di Pietro, professore di diritto Tributario all’Alma Mater finito agli arresti domiciliari, a uno dei suoi candidati, Giangiacomo D’Angelo, oggi ricercatore nel nostro ateneo: «Io devo avere merce di scambio per Montanari – dice il docente, intercettato dalla Finanza –, devo avere Padovani, in maniera tale che possa dire “Beh insomma io però vi faccio quello, però voi...». I nomi in questione sono candidati che, per l’accusa, hanno i loro sponsor nei baroni oggi indagati.

Illuminante è poi una conversazione fra Di Pietro e un altro prof indagato, Francesco Tesauro, che gli dice: «Ma lì poi... anche se io mi dimisi abbastanza presto... avevamo concordato chi doveva passare e chi non doveva passare». Di Pietro, in un altro colloquio, inquadra così l’esito dei lavori della Commissione: «È una composizione dei rispettivi interessi... le sollecitazioni esterne sono pertanto entrate con piena cittadinanza nell’orizzonte delle decisioni della Commissione».

Dopo la prima riunione, Di Pietro spiega: «Proprio perché era la prima volta che ci vedevamo, ciascuno ha dichiarato, non tanto... i suoi desiderata, ma anche le sollecitazioni che gli venivano dall’esterno e questo mi è sembrato un aspetto di perfetta trasparenza... Io ho voluto instaurare, fin dall’inizio, un rapporto diretto con tutti quanti, vi dico quelle che son state le ... le sollecitazioni ultime, proprio per avere il ... il quadro complessivo». Secondo il pm, con questa scelta di ‘trasparenza’ accettata da tutti «la Commissione è entrata nella più evidente illegalità».

Ancora Di Pietro, parlando con un altro docente, dice di aver cercato di «monetizzare» la sua «immolazione» sul candidato di un altro commissario. Di Pietro ammette poi di «non aver espresso il suo parere favorevole su quel candidato – si legge nell’ordinanza – per i suoi meriti, ma di averlo fatto contro le sue convinzioni al solo scopo di ottenere un credito nei confronti dei commissari Giuseppe Zizzo e Fabrizio Amatucci».

L'onnipresente Di Pietro spiega che nella precedente tornata ha fatto ritirare un suo candidato, Marco Greggi, per far vincere un altro, Thomas Tassani, oggi ordinario a Bologna e considerato dagli inquirenti il braccio destro dello stesso Di Pietro. Il 23 marzo 2015 sempre Di Pietro spiega a un suo allievo di aver ceduto su alcuni nomi per far saltare l’accordo su Francesco Tundo: il commissario Zizzo si deve accontentare, «voglio che lui prenda il bottino che ha fatto, rispetto al quale se anche salta Tundo...».

Il nome di Francesco Tundo è centrale nella vicenda. Il suo nome è particolarmente gradito a Zizzo e Amatucci, mentre è osteggiato da Di Pietro. Un altro prof, Francesco Tesauro, intercettato al telefono, dice che l’interesse di Zizzo deriva dal fatto che, siccome Tundo non è laureato in legge, «le cause da fare in Cassazione» le farebbe proprio Zizzo, con un guadagno economico non da poco. Non solo: la moglie di Tundo, Francesca Balzani, all’epoca era «assessore a Milano quindi ha delle influenze politiche... è molto potente nel Pd». Ovviamente sono parole di Tesauro, non certo sentenze. Di Pietro non può vedere Tundo, che infatti non vince la cattedra e la ottiene solo dopo che la Cassazione accoglie il suo ricorso. Per impedire che Tundo venga abilitato, Di Pietro è disposto a ricorrere a ogni mezzo: anche a far scrivere una finta lettera anonima al suo candidato D’Angelo per mettere in imbarazzo Amatucci. Una strategia, confessa Di Pietro al telefono, che «fa parte del ricatto che devo fargli...».

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