Così si preferirà l’autonomo di Nuova Delhi

Migration

Ugo

Ruffolo*

I lavoratori e i sindacati che vorrebbero rendere stabile lo smart working (s.w.), nato come contingenza da Coronavirus, sono lungimiranti o rischiano di tagliare il ramo sul quale sono seduti? Lo s.w. ottimizza l’occupazione o può generare disoccupazione? Ragioniamoci incrociando la questione con quella dei posti di lavoro che saranno cancellati dall’avvento della Intelligenza Artificiale (I.A.). S.w. e I.A. sono fenomeni eterogenei, eppure sinergicamente interagenti. Entrambi svuotano uffici e opifici della presenza umana, che resta insostituibile soprattutto quando empatia e relazioni interpersonali si rivelano essenziali. Tale essenzialità scema, dunque, per i lavori eseguibili da remoto, nei quali diviene allora più facile sostituire l’uomo con la macchina.

Ma non basta. Lo s.w. tanto esalta meriti lavorativi e prestazioni indispensabili quanto rende evidenti i rami secchi e i lavoratori sfaticati o improduttivi. E non basta ancora. Il lavoro da remoto, senza orari e controlli rigidi, essenzialmente modulato per obiettivi, si rivela più facilmente sostituibile con il lavoro autonomo, che assicura il vantaggio di scansare pastoie sindacali, rigidità lavoristiche e costosi contributi. L’impiegato tecnico che pretende oggi di lavorare da casa potrà essere sostituito, domani, da un ingegnere di Tirana o Nuova Delhi (è già l’incubo della classe media negli Usa). Lo s.w. mette dunque facilmente a rischio il lavoro che umanizza; disumanizzando, per contro, il (dis)servizio reso agli utenti, costretti a file, attese e incomprensioni kafkiane. Lo s.w. irresponsabilmente programmato per la Pubblica amministrazione desertificherà tanti pubblici uffici; e, come titola il Sole 24 Ore che intervista Cassese, regalerà a molti burocrati una "grande vacanza". A nostre spese.

*Giurista, avvocato e docente universitario di Diritto civile

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro