Covid e anticorpi monoclonali, Viale: "Così il virus si combatte fin dai primi passi"

Il primario di Malattie infettive al Sant’Orsola spiega i passaggi del trial clinico che partirà entro la primavera

Covid e anticorpi monoclonali, Viale (nel riquadro) spiega la sperimentazione

Covid e anticorpi monoclonali, Viale (nel riquadro) spiega la sperimentazione

Bologna, 16 dicembre 2020 - Un trial clinico sui già chiacchieratissimi anticorpi monoclonali, che potrebbero rappresentare la svolta nella terapia al Covid-19 già nelle sue primissime fasi. E partirà al Sant’Orsola con ogni probabilità tra febbraio e marzo del prossimo anno. A illustrarne obiettivi e dinamiche è il professor Pierluigi Viale, primario di Malattie infettive al Sant’Orsola.

Professore, come si svilupperà la sperimentazione? «I primi trial saranno su pazienti nelle fasi iniziali della malattia o in condizioni non gravi e perciò non ricoverati. Valuteremo come l’utilizzo dei monoclonali in una fase precoce della malattia riduca la possibilità di ospedalizzazione del paziente. Quello che non si è ancora studiato a fondo è l’impatto nel ridurne la gravità quando le condizioni peggiorano».

Gli anticorpi monoclonali possono avere anche una valenza preventiva sul contagio? «No, l’unica prevenzione duratura è il vaccino. Solo con questo e con i comportamenti che adottiamo si può spezzare la catena epidemiologica. I monoclonali rientrano nell’ambito terapeutico». 

Quanti e quali pazienti parteciperanno al trial? «Non lo sappiamo. Probabilmente si tratterà di poche persone, ma selezionatissime».

Quanto durerà il percorso? «Per valutare l’efficacia del farmaco bastano 4-5 giorni». 

L’obiettivo quindi è intervenire sulla malattia prima che diventi grave? «Per ogni infezione vale questo: prima la si cura e meglio è. Quella da Covid però ha una patogenesi duplice: la prima parte correlata alla replicazione virale, la seconda alla risposta immunitaria ’sbagliata’. Qui ci concentreremo sulla terapia eziologica, quella antivirale, con un doppio approccio: su farmaci antivirali o su anticorpi in grado di neutralizzare il virus. Quella dei monoclonali non sarà l’unica terapia che useremo».

Sono previste altre sperimentazioni?  «Certo, come quella, molto attraente, sul nuovo farmaco ancora senza nome, l’ABX464. Dovrebbe partire subito dopo le festività natalizie. Il Sant’Orsola ha già firmato per partecipare. Si tratta di un farmaco small molecule per via orale: sono cioè piccoli frammenti proteici in grado di spezzare l’Rna del virus, alterandone la capacità riproduttiva. Le sue potenzialità sono molto interessanti, perché potrebbe essere un farmaco ad azione sia antivirale sia anti-infiammatoria. Anche in questo caso si agirà su pazienti nelle fasi iniziali dell’infezione, anche se ancora non sappiamo se saranno ambulatoriali o ricoverati ad hoc per la sperimentazione». 

Si parla sempre di coinvolgere pazienti nelle fasi iniziali della malattia o con sintomi leggeri. Perché? «Il tempismo della terapia è fondamentale, noi virologi lo sappiamo bene e lo stiamo comprendendo ancor di più con questo virus. Le risorse terapeutiche, se usate al momento sbagliato, sono inutili, talvolta possono addirittura peggiorare la situazione. Invece finalmente stiamo arrivando al momento in cui potremo valutare l’efficacia delle opzioni terapeutiche in una fase molto precoce della malattia, cambiando le regole del gioco. Se queste sperimentazioni porteranno all’esito che ci auguriamo, potremo guardare al 2021 come l’anno in cui avremo sia i vaccini sia i farmaci per le fasi precoci del Covid. Insomma, potremmo dire di avere trovato una soluzione al virus in neppure due anni». 

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