Covid Bologna, Pierluigi Viale: "Farmaci antivirali arma in più, ma serve il vaccino"

L’infettivologo: "Entro fine estate altre due nuove terapie. Assieme alla campagna ci aiuteranno a rivedere quarantene e restrizioni"

Pierluigi Viale, direttore dell’unità operativa di Malattie infettive del Policlinico

Pierluigi Viale, direttore dell’unità operativa di Malattie infettive del Policlinico

Bologna, 12 gennaio 2022 - Vaccino e altri rimedi . Se la lotta al Covid fosse una metafora lo stato attuale delle risorse di cui il sistema sanitario dispone per affrontare il virus sarebbe composto da due elementi. Lo scudo, enorme, fondamentale e risorsa principale per prevenire la malattia grave, salvaguardando quindi la tenuta degli ospedali: il vaccino. E un pugnale, questo nuovo: la risorsa dei farmaci che galoppano verso la somministrazione anche per via orale, come nel caso delle 95 terapie con Molnupiravir già arrivate a Bologna, per cercare di bloccare nei primi giorni di positività il degenerare dell’infezione nei soggetti più a rischio. Un quadro ben definito da Pierluigi Viale, infettivologo e direttore dell’unità operativa di Malattie infettive del Sant’Orsola. "La strada dei farmaci anti-virali è un concetto in divenire. A Bologna sono arrivate venerdì scorso le prime 95 terapie, di cui 4 sono igà state somministrate, ma non ci sono timori riguardo alle scorte, né riguardo a future nuove terapie".

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Significa che sono in arrivo altri farmaci utili per prevenire le conseguenze gravi dei positvi? "È così. Da fine gennaio quasi sicuramente avremo a disposizione un secondo farmaco per via orale, il Nirmatrelvir/Ritonavir, di cui il nostro Paese ha già acquistato 100mila dosi. E poi, a fine estate, è atteso un terzo farmaco antivirale, per un armamentario ben qualificato di terapie".

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Terapie a cui si aggiungono poi anche gli anticorpi monoclonali. Di cui si è già parlato nei mesi scorsi. "I monoclonali, dei quali solo Sotrovimab è attivo su Omicron, hanno avuto sin qui effetti eccellenti, ma restano uno strumento per pazienti a massimo rischio. In mezzo ci sta Remdesivir, farmaco per via endovenosa che riduce il rischio di ospedalizzazione dell’80%. Ma il futuro credo sia dei farmaci per via orale, dal momento che ne avremo buona fornitura presto. Dovremo però dimostrarci all’altezza della sfida".

E quali requisiti occorrono in questo senso? "Va chiarito che il Molnupiravir così come i futuri farmaci per via orale sono utili se somministrati nei primi 5 giorni dell’infezione. Perciò la responsabilità è binaria. Dei cittadini, che sono tenuti a testarsi al primo sospetto o contatto a rischio. Del sistema, tradotto nelle Usca, nei medici di base, nei pronto soccorso, per individuare quanto prima i papabili pazienti, che in una gerarchia stilata sono in sunto persone con un rischio di malattia grave maggiore, e poterli dotare di questa terapia domiciliare".

La strada intrapresa dalle cure può rappresentare quindi un’alternativa al vaccino? "No. Assolutamente no. Mai. Il vaccino è il piano A. Un Milan della medicina. I farmaci sono una squadra minore. Uno strumento utile per evitare il degenerare della malattia, ma non potranno mai sostituire il vaccino, che è la garanzia non di prevenire in assoluto l’infezione, ma di prevenire la malattia, di ridurre enormemente il numero di ospedalizzazioni e preservare la tenuta del sistema sanitario".

Sistema sanitario che come sta reagendo a questa quarta ondata? "Vediamo. Nel senso che la variante Omicron ci ha imposto di rivedere tutte le previsioni sul picco di contagi e sulle necessità degli ospedali. Ci stiamo organizzando per un’ipotesi di crescita per altre due settimane. Ma le risorse non sono infinite, sia di personale che per economia. Gli ospedali sono al limite e le difficoltà saltano all’occhio nella gestione dei casi cosiddetti ’puliti’. È inammissibile che dobbiamo ancora sacrificare l’attività ordinaria, quando abbiamo il vaccino, lo strumento che se fatto da tutti impedirebbe definitivamente agli ospedali di andare così sotto stress".

La percentuale dei vaccinati al momento però è molto elevata. Davvero è così salato il conto da pagare per la scelta irresponsabile di poche persone? "A livello nazionale abbiamo ancora 5 milioni di non vaccinati, che, per inciso, da qui all’estate si contageranno tutti. Mettiamo che anche solo l’1% di loro, cioè 100mila persone, dovessero avere bisogno di ricovero, parliamo di un numero così elevato, da aggiungere all’attività ordinaria, che non ci possiamo assolutamente permettere".

Un contagio così diffuso potrebbe però portare all’immunità di gregge? "Non credo. Con un virus così mutevole, che si diffonde così in fretta, l’immunità di gregge sia irrealizzabile in tempi brevi".

E allora qual è la prospettiva per uscire dall’emergenza? "Vaccinandosi. Già ora con il vaccino e la Ffp2 il concetto di quarantena è stato ridimensionato. Mano a mano che l’epidemia si espanderà, potremmo abbandonare del tutto il concetto delle quarantene".

È un orizzonte lontano? "È un orizzonte a cui arrivare un passo passo. Facendo anche sacrifici, che però non possono più essere la chiusura delle scuole. Quella è l’estrema ratio perché la Dad è un colpo mortale all’educazione dei ragazzi".  

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