In missione nel Sud Sudan con il Cuamm e Zuppi. "Così Bologna aiuta l'Africa"

Don Carraro e l’arcivescovo in viaggio: “Restiamo uniti”

Matteo Zuppi, don Dante Carraro e monsignor Mark Kadima

Matteo Zuppi, don Dante Carraro e monsignor Mark Kadima

Bologna, 11 dicembre 2018 - Camminano l’uno accanto all’altro, Dante e Matteo lungo le strade polverose di una città che la gente comune stenta a trovare sulla carta geografica: Juba, Sud Sudan, capitale di uno Stato che si piazza al 181° posto su 188 come indice di sviluppo umano. E non ne nasconde certo il perché.

“È questo il momento in cui possiamo fare davvero qualcosa, non possiamo perdere l’attimo”, concordano don Dante Carraro e don Matteo Zuppi, come loro semplicemente usano presentarsi al mondo. E poco importa se, entrambi monsignori, dirigono l’uno la prima ong sanitaria d’Italia, i Medici con l’Africa-Cuamm e l’altro la diocesi di Bologna. Là in mezzo, tra uomini altissimi dalla pelle color carbone, sono ‘solo’ un cardiologo e un promotore di pace che ha messo piede per la prima volta in un Paese portando tutta la sua esperienza della Comunità di Sant’Egidio e dove l’anno prossimo potrebbe far visita Papa Francesco.

La prima giornata della missione sud sudanese dell’arcivescovo Zuppi è scivolata via in incontri istituzionali (staff Cuamm, nunzio apostolico, ministero della Salute e chiesa episcopale), per poi lasciare lo spazio oggi alla visita di Rumbek e delle strutture dove il Cuamm opera nello Stato dei Laghi. Un’azione che si concentra, per scelta della ong, sulle mamme e i loro bambini, perché in uno Stato dove l’età media è 18,9 anni non possono che essere loro i primi destinatari di ogni intervento. E l’obiettivo è sempre il medesimo: andarsene, dopo aver affiancato i professionisti locali e averli messi nelle condizioni di camminare con le proprie gambe. “Con il Sud Sudan l’amicizia è di lungo corso – ha detto Zuppi al sottosegretario del ministro della Salute, Makur Matur Koriom –, Garang (ex vicepresidente) venne più volte a Roma alla Comunità di Sant’Egidio. Ma la pace non può esserci se continuano a diffondersi le armi e se i trattati vengono imposti”.

Da qui la richiesta condivisa da Zuppi, Carraro e dai vertici della chiesa episcopale di “restare uniti, agendo insieme visto che rappresentiamo tre quarti della popolazione”. Come e soprattutto cosa può fare Bologna? I numeri indicati dal sottosegretario alla Salute sembrano andare a bussare dritto alle porte dell’Università e delle scuole di specialità. Nel 2011, anno dell’indipendenza, c’erano 9 ostetriche mentre oggi sono 800; c’erano 8 ginecologi (uno è il sottosegretario) oggi 42; c’era mezzo medico ogni 10mila abitanti e oggi 3,5. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità nel Paese dovrebbero esserci almeno 640 specialisti e invece il conto si ferma appena a 200, quasi tutti in formazione all’estero e che difficilmente rientreranno nel Paese.

A Juba i 560 posti letto dell’ospedale sono gestiti da 5 chirurghi e 12 ginecologi, e oltre il 54% della popolazione abita a oltre 5 chilometri da un presidio medico. “Manca il personale, non solo sanitario e con l’Università di Bologna abbiamo appena firmato un protocollo che spero segni l’avvio di una lunga collaborazione – dice don Carraro –. Ma l’invito a venire ad aiutare i sudsudanesi a non fuggire dalla loro terra è rivolto a tutti, imprese comprese”.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro