Dalla televisione anni ‘90 ai social Tutti gli universi di Mattia Pajè

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di Benedetta Cucci

Un primo incontro con Mattia Pajè, classe 1991, ex studente dell’Accademia di Belle Arti, si era avuto nel corso della residenza al Nuovo Forno del Pane del MamBo, nel 2020, durante il lockdown. Il suo pensiero parlava forte e ritrovarlo a Palazzo Vizzani in questa settimana di Art City, per di più tra i Main project, dimostra come il suo cammino stia procedendo spedito. La sua personale, nello splendido appartamento di questo palazzo che fu del cardinale Lambertini, s’intitola Fuori Terra, è curata da Giovanni Rendina e presenta un gruppo scultoreo composto da figure umanoidi immerse in un ambiente, dove convergono l’estetica ‘new age’ e la produzione scenografica della televisione commerciale degli anni ‘80 e ‘90, due riferimenti visivi e sociali della sua formazione, che è però in cerca della verità tra i contenuti dei social legati a teorie del complotto, materializzando il suo pensiero in isole installative (utilizza la pratica museale del diorama) tra scienza e spettacolo, lungo le stanze.

"Quando questo progetto nasceva – racconta Pajè – ricordo di aver provato sensazioni non troppo positive, perché era come se mi trovassi in un mondo dove tutto ciò che sentivo e vedevo arrivarmi addosso dai canali esterni fosse opinabile, come se non esistesse nulla a cui aggrapparmi completamente, perché tutte le voci che sentivo dalla televisione, dai blog, dai social o dai racconti delle persone non erano il mio pensiero". E prosegue: "Mi sono trovato davanti a una verità fittizia e ho cercato la mia, guardandomi dentro, analizzando il mio passato, cercando di ricordare come agissi nel mondo, cosa pensassi… E sono venuti fuori questi due universi, la televisione commerciale con l’estetica ultrapop, le notizie veloci estremamente sintetiche e il mondo magico di tradizioni antichissime, poi ripreso dalla ‘new age’, attraverso pratiche che ho cercato di sperimentare".

Da cosa è testimoniato questo crash culturale? Ad esempio da oggetti che vengono dal mondo ‘new age’ come l’accumulatore orgonico progettato a Wilhelm Reich negli anni Trenta (ricordate qualche mese fa Orgasmatron Redux alle Serre dei Giardini che fece parecchio parlare?) costruito oggi da un artigiano o simboli televisivi, come un lampadario, a frange utilizzato in una trasmissione di Barbara D’Urso: questo sovrasta l’accumulatore e accanto ci sono abitanti scultorei neutri pronti ad assorbire senza giudizio il tutto. Per poter inserire questi elementi scenografici pop (c’è anche Uan, il pupazzo di Bim Bum Bam, che arriva però dalla collezione del suo creatore, Ernesto Valenti), Pajè è andato a setacciare i magazzini di Mediaset e ha affittato molti interessanti elementi.

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