Bologna, 6 dicembre 2024 – Nella varia galassia che popolava la chat neonazista della Werwolf Division di Trevisani e ‘camerati’ c’era anche una vecchia conoscenza dell’antiterrorismo bolognese. Tra gli indagati dell’inchiesta che, mercoledì, ha portato in carcere 12 persone, accusate di associazione a delinquere con finalità di terrorismo e propaganda e istigazione per motivi di discriminazione, compare anche Rodolfo Poli, oggi 73 anni, "storico frequentatore degli ambienti dell’estrema destra eversiva italiana", come riassume il gip nelle 474 pagine dell’ordinanza.
Poli, in particolare, finì nell’indagine sulla strage del treno Italicus, del 4 agosto del ’74, a San Benedetto Val di Sambro, dove morirono 12 persone: venne inquisito per "avere concorso alla ricostruzione del partito nazionale fascista", riorganizzato con il nome di ‘Ordine nero’, movimento di Anno Zero di Ordine Nuovo, che aveva la sede bolognese in Strada Maggiore. Un luogo di "ritrovo e formazione ideologica", dove venivano distribuite pubblicazioni "incitanti all’uso di metodi violenti di lotta politica per il sovvertimento degli ordinamenti della Repubblica". Ossia, lo stesso obiettivo dei Werwolf, che di quel pensiero si dichiaravano eredi e ammiratori.
Poli, la cui posizione fu poi stralciata dal processo principale dell’Italicus, era entrato nella chat di Trevisani e camerati, pubblicando frasi minacciose contro il vicepremier Matteo Salvini definito "il maiale". "È complice e connivente di una classe criminale e anche lui prima o poi dovrà renderne conto", scriveva, incitando all’azione. Un’azione che, stando a quanto emerge dal lavoro della Digos, tutti invocavano, in particolare Daniele Trevisani e Salvatore Nicotra. Quest’ultimo, però, adduceva impedimenti ‘domestici’. A un conoscente che cercava di farlo tornare alla ragione, Nicotra rispondeva che "finché non sono dentro (in carcere, ndr)" avrebbe potuto agire, "solo che il mio problema è la mamma", di cui l’indagato si occupava. La realtà che si infrangeva, insomma, contro i folli propositi dell’istruttore del gruppo, ritenuto ideatore del piano per uccidere la premier Giorgia Meloni. La cellula, peraltro, rivolgeva insulti legati all’antisemitismo e minacce anche alla segreteria del Pd, Elly Schlein. Il piano per colpire la premier, comunque, era condiviso dagli altri sodali, in primis da Trevisani che voleva passare subito dall’ideologia all’azione. E che rispondeva che "senza osare non si fa nulla" a chi gli diceva che era "da pazzi suicidi (...) inneggiare a gente come Luca Traini (l’attentatore di Macerata, che armato di pistola ferì diversi cittadini stranieri, ndr)" su un gruppo pubblico. "Se siete pacifisti – diceva – siete dei fasulli nazionalsocialisti". Una posizione che lo portava a disprezzare qualsiasi realtà politica, anche la più estremista, come Casapound i cui membri sono classificati da Trevisani e dall’altro capo, Andrea Ziosi, come "conservatori responsabili".